Marcus Sciarra, flagellum Dei, et commissarius missus a Deo contra usurarios et detinentes pecunias otiosas.
Certo non ha bisogno di presentazioni. Dicono il padre fosse un umile pastore, ucciso malamente per capriccio di un qualche nobile. Da allora Marco e la sua famiglia si fecero briganti, ingrossarono le fila della loro banda e il suo nome è divenuto famigerato dalle campagne romane fino al tavoliere pugliese. Oramai, con tutti gli Avvisi diramati recanti la sua faccia disegnata sopra, va a finire che ci sono in giro più ritratti dello Sciarra che del Papa stesso. Che un tempo era uno come noialtri, ma adesso sicuro è un gran signore, uno di quelli che ti levi tanto di cappello. Però bada bene, un signore magnanimo e generoso, che distribuisce le sue ruberie a chi ne abbisogna. Perché, a differenza degli altri, quelli nati ricchi, lo Sciarra conosce il faticare e sa che fortuna e virtù non vanno confuse. Perciò il popolo lo saluta e se la ride ogni volta che un nuovo Avviso esce promettendo ducati per la sua testa.
Tenetevi pure i vostri Papi e Vicerè. Noi, brava gente del popolo, siamo ben felici di rendere onore all’unico e solo Re della Campagna.
Tante sono le storie sul braccio destro di Marco Sciarra, o la mano destra del diavolo come lo definiscono alcuni. Si dice vide le carceri dell’inquisizione, ma neanche Dio riuscì a tenerlo in catene e come uno spirito scomparve tra i boschi dell’Appennino. Altri raccontano abbia abbracciato la vita da brigante non per guadagno, ma per inseguire i suoi ideali, portando scompiglio nelle campagne come raffiche di tramontana e incitando le povere genti alla rivolta: “campi e feudi ai contadini, non ai principi!”. Spiriti affini sono destinati ad incontrarsi e, una volta che il fato lo mise sulla strada di Sciarra, si unì alla sua banda, quando era ancora composta da pochi scappati di casa. Tra gli spagnoli però gira una sola voce: “pagherà per i suoi crimini”.
Chi lo conobbe prima dei voti, come Bastiano, avrebbe potuto descrivere un uomo risoluto, dal cipiglio deciso e animoso. Ora affermerebbe che, insieme all'uomo avvezzo alla vita del brigante, convive un animo pio di chi vede nel prossimo, soprattutto se umile, il volto del Signore. Un uomo che crede nel sincero pentimento e nella via della redenzione. Nel contado a volte si odono voci: "Se noi poverelli abbisognamo di aiuto, che i dotti in legge interdicono agli umili, una voce al focoso e buon Don Sebastiano possiamo affidare perché si prodighi ad intercedere per noi presso lo condottiero Sciarra". Chiunque abbia udito con attenzione un'omelia di Don Sebastiano ascolterebbe massime prese dalle sacre scritture mischiate a talune probabilmente di suo pugno. Con un dito puntato al cielo o il pugno chiuso in tono di sfida, in virtù della situazione esclamerebbe: "Si vede prima la pagliuzza nell'occhio dell'altro piuttosto che la trave nel proprio" e "È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli" o ancora "La testa si può piegare, ma lo Spirto si inchina soltanto a Dio".
Gira voce che gli Anguillara avessero speso fino all'ultimo ducato che gli era rimasto pur di conferire una dote degna di questo nome alla povera Angelica. Dice che avrebbe dovuto sposare un gran signore, uno dei marchesi della Marca Anconitana e anche che questo avrebbe risollevato le sorti di quella famigila ormai carente di pecunie. E sì che si era fatto un gran preparare della carovana che avrebbe dovuto scortarla da Roma a Senigallia. Lo scopo era probabilmente di far apparire ciò che non c'era, ricoprire d'oro la mancanza dello stesso. Angelica, come ogni futura sposa, era raggiante, questo si racconta. Ma forse troppe voci girarono e, come è risaputo, se troppo ti vanti va a finire che ascolta anche chi non dovrebbe.
Dicono che quando le truppe del pontefice arrivarono era ormai troppo tardi. Angelica era sparita. La sua scorta trucidata. Come unico indizio la flebile voce di un cocchiere in fin di vita. Solo poche parole scaturirono dalle sue labbra sanguinanti: "Sciarra... l'ha presa lo Sciarra".
Quattro mesi passarono e sembra che la famiglia stia ancora cercando di trattare per la sua liberazione, ma chi può dire che ne è dello spirito di una dama che abbia passato tanto tempo con una simile marmaglia...
In una locanda un po' isolata, un ragazzotto dai modi rozzi, ma dallo sguardo sincero, urla: "Cari amici, questo vino è offerto gentilmente dalle casse del Marchese di Urbino e domani pagherà anche i conti delle genti del contado!" a quel punto un gran baccano, chi ride, chi inneggia, chi insulta, chi sfida l'oratore improvvisato. Luca a testa alta affronta tutti, i compagni con un bicchiere, i nemici con la lama e le donzelle con un sorriso ammiccante. Le malelingue, informate alla meglio, che 'contano ciarle basate più su suggestioni che fatti, dicono che le storie sulla Brigata Sciarra siano più opera della baldazza di Luca nelle osterie che del loro reale valore. Lo descrivono come un attaccabrighe, uomo focoso tanto nei duelli fra lame che in quelli sotto le lenzuola. Ha sicuramente fama di gran testa calda, di uno che cerca i guai, ma chi lo ha affrontato sa che con il suo coraggio incute rispetto anche ai nemici e che i suoi sentimenti sono puri.
Chiamavano Mari'ntonia cuore di madre, giovane lupa. Questo era prima, poi il suo amore le fu strappato via con violenza e, sola, si trovò con tre creature, tre cuori di madre, tre denti di lupa. E madre sola ci può far poco, che se i figli tornano una volta con un pollo, una volta con un tozzo di pane, non gli chiedi dove l'hanno preso. Gli tiri un buffetto e gli dici "hai fatte bene!". Con gli anni il pollo può diventare gioiellame e il tozzo un borsello di ducati e, allo stesso modo, cuore di madre diventa orgoglio. Che se i ricchi ci derubano e ci tolgono chi ci è caro, dobbiamo pensare a noi stessi e difenderci da soli.
Cuore di madre, fauci di lupa, dicono sia ormai avanti con gli anni e che tra quelle rughe i suoi figli siano cresciuti in numero. Non figli del ventre, ma della vita. E lei ogni notte li conta uno a uno prima di addormentarsi: Marco, Michelina, Luca, Lazzara, Pacchiarotto... anche gli altri, quelli perduti, quelli che nessuno nomina mai. E provasse qualcuno a toccarli, nessuna preghiera potrà allora proteggerli dalle maledizioni di Mari'ntonia.
Pare che a Michelina piaccia la quiete. Quella assoluta, che permette di concentrarsi fino in fondo. Si dice anche che lei conosca il canto di tutti gli uccelli dei boschi come se fossero delle cantilene o delle filastrocche... sono l'unica cosa a tenerle compagnia quando, nel silenzio, prende la mira per sparare. Insomma, un soprannome come "Lupara" non può mica averlo ricevuto così per caso! E fate bene a sperare di non essere mai e poi mai dalla parte sbagliata del suo moschetto. Mai. Per chi non ne fosse ancora convinto, i suoi compagni possono raccontare tante di quelle storie sulla sua precisione impossibile da far accapponare la pelle. Saggia e riflessiva, sembra che tra i tre Sciarra sia lei quella che medita più di tutti sulle decisioni per l'intero gruppo e la sua serietà le ha fatto ottenere il rispetto di ogni membro. Si dice che i suoi nervi sono così saldi che niente la può cogliere di sorpresa, ma è pur vero che è umana anche lei come tutti. La spensieratezza va lasciata agli uccelli e al loro canto.
Lo sentite? Lo sentite il suono dello schiantarsi delle onde sul pontile? Dei tacchi delle belle donne che schioccano su e giù per i ponti? Dei canti appassionati di gondolieri in giro per le calli umide e buie? Forse è solo suggestione, ma questi sono elementi dai quali non sembra riuscire a separarsi. La verità è che Iacomo è molto più della sua provenienza. Si trova qui solo da pochi mesi eppure già la gente mormora su quanto si possa nascondere dietro quel sorriso furbetto e quegli occhi svegli. Anche se è lontano da casa non si sente perso, appare amichevole e solare e il suo carisma unito alla scaltrezza gli ha permesso di unirsi ai briganti. C'è chi giura di riuscire ancora a sentire l'odore di sotterfugi e acqua salmastra al suo passaggio. Ma la verità è che tutto questo, per lui, potrebbe essere l'inizio di una nuova vita.
Si racconta che un paio di ragazzini una volta l'abbiano seguita nel bosco per spiarla mentre andava a darsi una lavata al fiume. Si racconta che l'abbiano vista con le mani sporche di sangue, ma chissà se esso proveniva da una ferita che ha inflitto o che ha ricucito. E infine si racconta che i due ragazzini siano tornati a casa non esattamente in buono stato: il primo aveva un labbro spaccato, il secondo non aveva uno, ma bensì due occhi neri. Lazzara è un'eccellente curatrice, questo si sa, ma i suoi modi non sono mai stati molto delicati. Anche il suo carattere appare schietto e giudicante, ogni volta che compare con le braccia conserte e lo sguardo freddo. C'è chi giura di non averla mai vista ridere di gusto. Ma qualcuno che la fa star bene ci dev'essere per forza, così da poter giustificare la sua fedeltà alla famiglia Sciarra e al brigantaggio.
Cosa può spingere un domenicano ad unirsi ad una masnada di briganti violenti, nascosti nel bosco? I più dicono che Fra Giordano sia stato spinto dalla misericordia per questi poveri peccatori, un disperato tentativo di apostolato e conversione…
Alcuni sostengono che invece il frate sia diventato matto, spiritato da qualche diavolo maligno, e si sia messo a fare il brigante, depredando e vivendo fra i ladroni...
Il mugnaio l’altro giorno diceva che si ricorda ancora la prima volta che ci parlò, lo colpirono gli occhi di quello strano religioso: accesi, quasi spiritati, ma anche tristi, come se stesse sempre pensando a qualcos’altro… chissà, comunque non la smetteva più di parlare, anche se alla fine si è fermato poco in paese, giusto per sentire le novità, e poi è di nuovo corso sui monti.
C'è chi nasce con grandi talenti: l'intelligenza, l'umorismo, la pazienza per dirne alcuni. Verdiana non è così, lei ha... altre doti. Ormai si è perso il conto di quante donne le hanno dato della svergognata per certi movimenti sfuggenti in cui l'orlo della sua gonna si è alzato un po' troppo. Guarda caso le lamentele da parte degli uomini sono state molte meno, perlopiù loro erano rimasti ammutoliti da cotanta audacia. Questa figura tanto conturbante quanto spiritosa fa della femminilità il suo vessillo, la sua spada e il suo scudo: mai sottovalutare il contribuito che una persona così sinuosa e perspicace possa portare ad un gruppo come quello dello Sciarra. Tentazione o paradiso, chissà che cosa sarà per il prossimo fortunato che la incontrerà?
Pare che Cozzolino ne abbia sempre una da raccontare. Racconta di quando era piccolo e stava ancora al paese e andava a rubare ciliegie e pesche ai contadini che gli sguinzagliavano contro i cani. Racconta di quando con l’amico Gaspare si sono fatti briganti, appresso agli Sciarra. Racconta le storie dei suoi compagni come se fossero eroi di leggende passate, racconta le storie che gli altri gli raccontano, vere o inventate ha poca importanza. Parla, parla, parla cosí tanto Cozzolino che tutti lo chiamano il Ciarliero. Che poi è bello sentirlo raccontare le sue storie, magari seduti intorno al fuoco, il bosco buio attorno, le membra stanche della lunga giornata. Da un po' però pare davvero che le sue parole siano troppe, che le sue storie non finiscano mai. Gli altri si guardano e si chiedono cosa gli sia successo. Magari una battaglia di troppo. Quasi come se adesso il silenzio gli facesse paura.
Chissà se Gaspare se lo ricorda ancora, di quando aveva l’anima leggera e il corpo integro e, con la scelleratezza di chi non ha ancora visto niente, aveva deciso di seguire gli Sciarra in giro per le campagne. Mica è passato tanto tempo, ma a lui deve sembrare una vita intera. Fra allora e adesso è venuta quella terribile battaglia. Prima lo chiamavano Gaspare. E adesso? Adesso lo chiamano Sciancato. Non lo fanno per insultarlo. No, c’è tanta ammirazione per un compagno che ha combattuto senza cedere, che era pronto a dare tutto, che ha visto il peggio della battaglia ed è tornato per raccontarlo. Certo magari a volte lo Sciancato ci penserà pure a quel paesino vicino a Teramo dove è nato, dove avrebbe potuto vivere una vita tranquilla, dove magari potrebbe ancora tornare. Ma gli Sciarra hanno ancora bisogno di lui e lui ha ancora da dare, ancora un’ultima battaglia.
Il bosco ha le sue regole e Viviana nel corso della sua vita ha imparato a conoscerle e rispettarle. Come spesso dice ai suoi compagni “gli alberi e le rocce ti insegneranno cose che nessun maestro ti dirà”. Si muove tra i sentieri con la sicurezza e l’eleganza di un lupo, come se avesse vissuto da sempre in questi boschi e, quando porge i suoi ringraziamenti alla Madonna delle Grotti, si ammanta di un’aura misteriosa e antica, nessuno osa disturbarla.
Si dice che anni fa colse all’improvviso il Pezzola mentre stava per uccidere una serpe innocua, quasi gli ruppe la mano con un bastone. Altri dicono che lo fece cenare con quella serpe perché la morte nel bosco ha sempre uno scopo. Cosa si dissero realmente lo sanno solo loro, ma da quel giorno Viviana iniziò a frequentare la banda del Pezzola diventandone presto parte integrante.
Di Morgante raccontano la forza. Non solo quella delle sue braccia che, anche se normali all'aspetto, si dice possano portare il peso di due uomini. Di Morgante raccontano la forza. Quella disegnata sui lineamenti del suo viso quando parla ai suoi compagni, quando organizza la prossima azione, quando imbraccia l'arma per difendere la sua terra. Di Morgante raccontano la forza, ma i suoi compagni sanno che Morgante avrebbe una sua storia molto più difficile da raccontare. Una storia che infiamma il suo cuore. Dicono di vederlo spesso perdersi a guardare il cielo tra le foglie, restare in disparte a fissare il fuoco mentre tutti loro festeggiano il ritorno di un amico o l'arrivo della primavera. Morgante quella storia non l'ha raccontata a molti e i suoi compagni ormai si sono abituati a vederlo sparire dal loro mondo per rifugiarsi nel suo. Tutti ne parlano sempre come una figura di riferimento. Non a caso gira voce che il Pezzola stesso lo abbia nominato luogotenente e, in tutta la valle, girano storie sulla loro indissolubile amicizia. Per i compagni, Morgante è la mano a cui chiedere aiuto in ogni momento, soprattutto in quelli difficili in cui la fiducia viene meno e la sua forza sembra l'unica cura in grado di rinsaldare la speranza nei loro animi.
Che diavolo di donna! Ogni volta che qualcuno vede Cianciarella passeggiare tutta sola le vengono lanciati addosso sguardi indagatori, se non infastiditi. Sembra impossibile non avere un'opinione su di lei: c'è chi la considera una pazza, o una creatura smarrita, o una donna passionale, o una indemoniata. Con lei non ci sono mezze misure, non ci sono mai state. Sembra che anche il suo povero marito Amilcare sia convinto di ciò. Dicono che quando sorride sembra che le campane suonino a festa e che quando balla sembra che le sue membra non conoscano il significato della parola "calma". Ma quando parla invece si agita, si morde la lingua e balbetta senza sosta mentre il nervosismo cresce, A volte quello che dice è proprio incomprensibile, non pronuncia altro che parole a vanvera... per fortuna che non serve parlare bene per impugnare un'arma.
In tanti hanno in mente il ricordo della dolce Serafina. Figlia di queste valli, volto accarezzato dal sole e labbra sempre felici di lanciare sfuggenti sorrisi. Si dice che la ragazza fosse anche troppo spensierata e gioviale, che vivesse come se la vita non ponesse rischi o problema alcuno. Certo è, che se fosse stata più attenta forse non le sarebbe successo di finire preda della banda del Pezzola. È ormai passato più di un anno da quando la giovane non ha più fatto ritorno al Borghetto. Dopo qualche giorno si sparse la voce che fosse tenuta dalla banda di manigoldi controvoglia e Dio solo sa che vita la sarebbe toccata. Certo è che un po' se lo è andata a cercare e tutti in paese ormai hanno smesso di sperare in un suo ritorno. Solo la sorella Teresa sembra ancora non darsi pace...
Si dice in paese che nelle notti di luna mezza, quando solo il verde del muschio scricchiola, c’è solo un passo abbastanza leggero da passare inosservato anche agli occhi dei lupi: quello di Pagliucchella, il coltello silenzioso. Cosa nascondono quegli occhi fugaci? Alcuni dicono un passato violento, magari un crimine commesso in qualche paese lontano… dopotutto, sono passati solo due anni da quando è arrivato nella valle diventando rapidamente uno dei briganti più temuti fra Civita e Borghetto. Veloce, capace, quieto e scuro. Tutti sanno che se qualcuno può farla in barba anche al diavolo, quello è Pagliucchella. Da quando fa parte della banda del Pezzola, non passa notte in cui i suoi passi leggeri non percorrano come un'ombra i vicoli del paese…
Appena arrivato in queste zone girava sempre con un cappuccio calato sul volto, a celare il suo sguardo e la sua identità. Ora non lo fa più, ora si è abituato al luogo, ma quell'aria guardinga non se ne è mai andata... anzi sembra quasi si voglia nascondere dalla sua ombra e da un passato che non può dimenticare. La gente si accorge che ha qualcosa in più a contraddistinguerlo: una elegante raffinatezza che lo fa spiccare tra la gente che frequenta abitualmente, senza contare la spada che pende dalla sua cinta. Lo notano tutti, questo è più che certo. Quando crede di essere solo, c'è chi giura di poterlo sentire sussurrare parole di rispetto e onore come una preghiera intima che abbandona le labbra di un vero uomo di fede bisognoso di una risposta. Anche i Borghettari cercano una risposta, e la domanda è: "cosa ci fa qui, in questi boschi?"
Dicono di Vincenzina che abbia mani abili. Dicono che le abbia sempre avute. Cresciuta orfana per i vicoli de L'Aquila, sembra avesse dita fini e capaci di infilarsi in una sacca o sotto un abito senza essere sentite. Ma, è risaputo, bisogna sempre prestare attenzione a chi si sta cercando di sottrarre qualcosa di nascosto. Si dice, ad esempio, che l'occhio acuto di Morgante non faticò a vedere la sottile mano di una giovane Vincenzina, mentre cercava di sfilargli il borsello. Morgante afferrò la mano e tirò uno schiaffatone alla fanciulla. Dopo di che il brigante rise di gusto. Questo si racconta anche se nessuno può dirlo con sicurezza. Ma che Vincenzina de L'Aquila ormai da diversi anni segua il Pezzola e la sua banda è cosa certa.
Se si dovesse descrivere Terenzio in una parola, sicuramente questa sarebbe "spirito". Ebbene sì, proprio spirito! esso si ravvede nella sua dedizione alla causa dei briganti e nell'amore per i figli lontani. Nella capacità di alleggerire l'animo altrui con battute e facezie, così come nella dote di svuotare le botti delle cantine e delle taverne. Proprio quest'ultima, si dice, non una volta soltanto, gli costò cara e mise in pericolo la banda. A volte lo si può vedere, naso rosso e occhio lucido, che barcolla con un fiasco quasi vuoto di vino in mano, dicendo blasfemie sul papa o su qualche santo. Nessuno ci prova a dirgli niente che tanto si sa che niente se ne cava una volta che il bicchiere è vuoto. Perché il Pezzola se lo tenga con lui è un mistero. Forse in fondo a quella bottiglia, a quel sorriso compiacente c'è qualcosa che non è dato di sapere a chiunque.
Si dice di lui che sia il luogotenente dello Sciarra stesso, amico e fratello... suo uomo di fiducia insomma. Addirittura guida una banda per conto proprio, così come fanno capitani e signori. Ma non fatevi ingannare da questi titoli che scherzosamente gli affibbiamo, perché non è certo della sua galanteria che raccontano coloro che ci hanno avuto a che fare. Infatti molti lasciano intendere questo fatto: se dove arriva Sciarra, solo i signori hanno da temere, Battistella al contrario sa essere spietato e severo con chiunque e il suo nome porta seco angoscia e terrore. I compagni certo lo plaudono e i nemici lo temono, uomo pronto a tutto pur di ottenere ciò che desidera.
Non di garbatezze è dunque fatto costui e, pur ora che ve lo stiamo narrando, potete sentire la nostra voce affievolirsi e farsi tenue, che la paura che queste voci giungano a lui è sicuro più forte di qualsiasi voglia di raccontarle.
Che mai volesse il cielo la vostra strada incroci la sua. O Battistella potrebbe essere l'ultimo nome vi capiti di sentire.
Perché essere nobili quando si può essere forti? Perché duellare con lo stocco quando puoi schiantare con la mazza? Qualche vecchio di paese ricorda ancora quando Ferrante si fermava a salutare i contadini, discendenti dei sudditi angioini, ma quei giorni sono passati. La sua cappa non è più chiara e lucente, ma macchiata di terra e sangue, e i suoi stivali, ereditati dal padre, un tempo lucidati e robusti, ora hanno i tacchi consumati e sono sporchi di polvere. Ancora si può scorgere nei suoi occhi, nei suoi lineamenti, l’ombra nobile di quella che fu per secoli la casata regnante del Mezzogiorno, gli Angiò… ma è solo un’ombra ormai. Eppure gli spettri degli anni passati in mezzo alla violenza e alle ruberie sembrano quasi tenuti a bada da una qualche luce, che alcuni vecchi di paese chiamano amore.
"La sua risata riecheggiava in tutta la valle", fino a non molto tempo fa è questo che avrebbero detto di lei i suoi compagni, una donna dall'animo forte, ma capace di alleggerire l'aspra vita della banda con un contagioso buonumore.
Da quel giorno sciagurato però tutto è cambiato, alcuni dicono che il suo sguardo ora sia come velato da una nebbia che le impedisca di apprezzare il bello che ancora la circonda. Le risate hanno lasciato il posto a sorrisi di circostanza e i suoi modi a volte sembrano richiamare l'impeto dell'orso che dimora in questi boschi.
C'è chi dice di averla vista prendere a pugni un mulo che si rifiutava di partire, povera bestia.
Durante la notte, cullata dai rumori del bosco, trova un po' di pace e la rabbia lascia il posto al dolore. In questi momenti alcuni bisbigliano di averla sentita singhiozzare un nome.
A ben vedere, le fila del Battistella hanno raccolto molti brutti ceffi e pendagli da forca. Tra le figure che sembrano sfuggire alla logica di violenza e sopruso Mariano risalta. Sotto la veste del brigante si intravede un uomo di medicina. "Cavadenti" lo appellano, ma non si offende. Con generosità elargisce balsami, stecche e bende. I suoi compagni dicono di lui che sia più bravo a risistemare le ossa che a romperle. Ogni tanto qualcuno gli domanda se si è pentito della scelta fatta di seguir suo fratello, invece di operar in sanatorio o ospitale. Scuote la testa e risponde che nella banda le occasioni di rinfrescar gli studi di chirurgia non mancano mai. Uomo e galantuomo, copre le spalle ai compagni col coltello, offre sempre un consiglio e lenisce le ferite. Di tanto in tanto sospira, innalza preghiere al cielo perché il cielo ponga termine a tutto questo pugnare e saccheggiare.
Qualcuno si chiede perché una religiosa segua una banda di briganti. Forse quella veste nasconde qualcosa in più rispetto a ciò che l'abito da monaca lascerebbe intuire. Cosa dire di Suor Evelina, pudica donna di animo pio e fedele, che accompagna i briganti nel loro percorso, se non che nessuno nasce bandito e ogni essere umano ha bisogno del conforto della fede. Non importa il suo passato, ma il suo presente e quello che compirà da oggi in avanti nel suo andare. Se interrogata, Suor Evelina parlerà di amore e della provvidenza che ci aiuterà. Mai maledire il dolore, esso santifica chi soffre e chi lo condivide col sofferente in nome di Nostro Signore. Tutti gli uomini penano. L'amore è un dono divino che allevia le ferite come e meglio di un medicinale. La sofferenza non è una tragedia che va abolita, appartiene a tutti e se tutti imparassero ad accettarla imparerebbero anche ad amare Dio.
Il volto dell'amore è il volto di Dio, si può trovare in ogni cosa. A volte assume addirittura forme impreviste, inattese, come quella del viso di un brigante.
Eccola là, la vedi? Che scende dai monti biancovestita, con l’abito leggero, quasi trasparente. Che cammina fra i fiori e l’erba con passo di danza… pare la primavera che saltella. Dolce e delicata, forte e decisa, ingenua e furba insieme, come un furetto che si insegue la coda da solo, ma per gioco: Mirabella, il fiore dei briganti. Nei suoi occhi velati si legge un passato oscuro e doloroso, trascorso fra i vicoli del paese… e ora invece lampeggiano di nuova luce, mentre corre fra i suoi compagni, l'arma in mano, i capelli al vento… cosa la lega a questi omacci dei monti? L’amicizia? Forse. L’amore? Probabile. La libertà? Sicuramente. Eccola dunque che arriva vestita, della sua tunica trasparente, collo coperto da lunghi capelli, di fronte a lei il cielo è niente.
"La sai la differenza tra un sasso e un libro? Che almeno il sasso non si bagna!". Ecco uno dei cavalli di battaglia di Eugenio. Inutile dire che è una battuta che non fa ridere nessuno e che è chiaro che cerca goffamente di nascondere la sua ignoranza dietro l'umorismo. "Non ci sono le immagini!" è un altro motto tra i suoi preferiti. Ma poco importa, infatti ce ne sono poche di persone abili come Eugenio in tutto ciò che è manuale. Per non parlare della sua migliore qualità, l'affidabilità! Dategli un compito e lui lo porterà a termine. Battistella stesso dice che potrebbe chiedergli di sradicare un albero e lui si metterebbe subito al lavoro senza fare domande. Ecco, forse una battuta o due le farebbe. Così, per sfizio.
Si sa poco di Romola. Se non che di solito si occupa dei viveri e dei pasti di questa banda di farabutti. Figura silenziosa che si aggira con il Battistella da molto tempo, sicuramente non pare essere di molte parole. Eppure i compagni sembrano tenerla di gran conto. Soprattutto quando gli animi si fanno accesi e si litiga, è quasi come se Romola riesca con poche parole a far tornare tutti alla ragione. Raccontano ad esempio che una volta Orsola diede di matto, versava lacrime e urlava. Romola le si avvicinò, un abbraccio, una carezza e qualche parola sussurrata all'orecchio e tutto si fece calma. Parla poco forse, ma quello che dice sembra avere un potere cui anche il più feroce di quei manigoldi non può sottrarsi. Si sa poco di Romola, ma quel poco che se ne dice basta a renderla forse il più inquietante dei compagni del Battistella.
A chiunque lo chiedi, tutti ti dicono che il sindaco Alfiero è proprio una brava persona. Che ce ne fossero di sindaci così in ogni paese! Ce la ricordiamo ancora quella volta che il misso del Camerlengo era venuto a batter cassa e l’annata era stata così magra che tutti si aspettavano di dover saltare i pasti. Il nostro Sindaco tanto ha detto e tanto ha fatto, tanto ha promesso, brigato e aggiustato, che alla fine il misso era contento e le nostre pance non sono rimaste vuote. Onesto e giusto il Boccamazzi, il primo ad aiutare i suoi concittadini quando c'era da scavare fra le macerie del terremoto. E quando il Duca Onofrio Pandolfi e i suoi Civitesi si sono ritrovati con le pezze al culo, è stato Alfiero a trovare una sistemazione a tutti. Che brava persona. Certo, le malelingue dicono che i Boccamazzi si litigano da tempo per certe terre da latifondo della famiglia e dicono che ogni tanto Alfiero si fa mettere i piedi in testa dalla sorella Elvira. Che poi manco è vero: poco tempo fa Alfiero si è fatto arrivare una bella moglie dalle Puglie e il brontolare di Elvira di certo non l’ha fermato.
Fra Menico non è originario di Borghetto, ma per i suoi abitanti è ormai di casa, nonostante risieda nel piccolo paese solo da poco. Lo si è visto arrivare dopo il terremoto che ha afflitto queste terre, diceva di voler essere di aiuto. Si è preso subito cura degli sventurati che hanno perso casa e affetti e tutti sono rimasti ammaliati dalla grande calma con cui trattava anche le situazioni più difficili. Dopo poche settimane molti hanno iniziato a riferirsi a lui come "anima santa" per la sua bontà d'animo. Si dice che ogni tanto lo si possa trovare ad insegnare qualche parola più forbita a quelle teste dure del Borghetto. Qualcuno prima o poi dovrebbe ricordargli che a lavare le orecchie all'asino ci si rimette l'acqua e il sapone! Alcuni affermano goda di rispetto anche tra i briganti e che fu il Pezzola in persona a scortarlo fino alle porte del Borghetto. Per questo non mancano malelingue che lo indicano come compare dei briganti.
Nessuno sa per quanto rimarrà ancora tra i Borghettari, dice sempre che sarà il Signore ad indicargli il momento. La cosa certa è che mancherà a molti.
La vita tra i monti è dura e Teresa era solita condividere le fatiche quotidiane con la sorella Serafina, ma ormai un anno è passato da quando la sventurata fu rapita, si dice, dalla banda del Pezzola.
Sorride timidamente quando le si passa vicino e i suoi modi sono gentili, quasi in contrasto con l'aspro territorio che la circonda, ma non manca di quella forza e tenacia necessarie nel portare avanti da sola il piccolo gregge della famiglia. Si dice che ogni giorno alle prime luci dell'alba o al calar della sera vada nel bosco nella speranza di sentire la voce della sorella. Povera ragazza, comprensibile il dolore che prova, ma così rischia di finire anche lei nelle mani di qualche manigoldo! Dovrebbe invece mettersi l’anima in pace e cercare un bravo marito!
Quando pochi anni fa un male sconosciuto prese anche la madre, Leandro si ritrovò improvvisamente solo e con un borsello troppo leggero per tirare avanti. Durante gli ultimi mesi della malattia, Padre Silvestro faceva spesso visita alla loro dimora per portare un po' di conforto e la parola di nostro Signore. Ha stupito un po' tutti il suo improvviso distacco nei suoi confronti, che ingrato! Chissà poi perché hanno litigato. Ma non si può dire sia una cattiva persona, ricambiò l'aiuto dei Borghettari con tanti piccoli lavori e nel tempo iniziò a recarsi spesso in città per vendere prodotti del Borghetto. Si dice però che tra un viaggio e l'altro portasse sempre un po' di tutto. C'è chi sostiene che se vuoi qualsiasi cosa, Leandro sa come procurartela. A volte non lo si vede per settimane. Alcuni dicono sia un gran furbo e ne sappia una più del diavolo, chissà se queste voci siano da prender come complimento, ma sicuramente sa come muoversi nei boschi, con tutti questi briganti in giro...
Che bella giornata! Fra poco ci si sposa, il mulino funziona bene, tutto è per il meglio! Certo, il terremoto è stato duro, ed è un po’ strano avere tanti civitesi qui in paese con noi… e poi ci sono i briganti… ma poco importa, finché il sole splende e la farina sbuffa Bartolo sarà sempre contento! Amico di tutti, nessuno può negargli un sorriso, è pure nipote del prete, quando col suo carretto carico di sacchi bianchi scende in paese, con le consegne da fare. A tutti piace il mugnaio, l’uomo della farina, buono come il pane! Certo, sarà un po’ strano per lui sposarsi con una non del paese, che a malapena conosce, ma dopotutto, in tempi come questi, cosa vuole signora mia è già tanto trovare qualcuno con cui sposarsi. Il sole splende e il cielo è azzurro: Bartolo sorride sul suo carretto… è una bella giornata.
Se c’hai un problema, vai da Iole e lei sicuro qualcosa per aiutarti s’inventa. Magari un decotto per farti passare il mal di denti o una preghiera alla Madonna delle Grotti per proteggere tuo figlio andato alla guerra. Oppure una parola all’orecchio giusto e tutto si sistema. Iole sa sempre con chi parlare, aggiusta sempre tutto. Tranne per il marito Gerardo, che definisce uno sfaccendato. A volte li si può sentir litigare fin dal bosco. Durante i preparativi per il matrimonio della nipote Rachele era un continuo punzecchiarsi, ma tutti sanno che dietro i litigi si amano come poche altre coppie.Che poi non si sa come ci sia riuscita Iole a far sposare sua nipote la pugliese niente meno che al sindaco! Alla faccia di tutte le zitelle del paese che ci avevano fatto un pensiero.
Tenere accesa la fiamma della fede nei cuori di noialtri villici non è certo compito facile, ma Padre Silvestro se l'è sempre cavata egregiamente. Molti vi diranno infatti che sa quando chiudere un occhio su piccoli peccati veniali, quando perdonare il bracciante che non si presenta alla messa domenicale perché troppo stanco dal duro lavoro. Che la sua umanità sa riconoscere l'affetto per il Signore anche quando non si palesi nelle ritualità della Madre Chiesa. Che se non fosse per lui gente come Leandro o Viola avrebbero fatto una brutta fine già da parecchi anni.
Non si dica però mai che Padre Silvestro non sia un vero timorato di Dio. Infatti nessuno più di lui si prodiga affinché tutti al Borghetto seguano la dottrina cristiana. Che una parola di qua e un'omelia di là e piano piano sa come far passare i concetti anche nelle teste degli asini. Forse non sarà mai un dotto come quelli che studiano nelle grandi città, ma se c'è un esempio di cristiano esemplare, questo è Padre Silvestro e mai sentirete al Borghetto qualcuno dire di non essere riconoscente al proprio canonico.
Che la famiglia Boccamazzi sia di quelle che stanno bene è roba risaputa da queste parti, tanto che persino al di là del confine ci sono terreni e tenute a loro nome. Elvira in particolare è sorella dell’amatissimo Sindaco del Borghetto e non è difficile sentire voci sostenere che se non fosse che porta la gonna sarebbe stata probabilmente lei stessa ad essere Sindaco. Che poi si dice che non vadano tanto d’accordo lei e il fratello, soprattutto da quando la povera Elvira è rimasta vedova poco prima del terremoto. Si dice che il marito, buonanima, fu aggredito e ucciso da qualche bandito della zona. Non c’è da stupirsi che la signora Boccamazzi ce l’ha tanto su col Pezzola e la sua banda. Ma, a parte questi pettegolezzi da malelingue, Elvira è sicuramente una gran signora, una coi piedi per terra, che ha saputo mantenere alto il nome di famiglia e del Borghetto. Soprattutto caritatevole e sempre disposta a ricevere tutti quelli che le chiedono una mano o a dare un lavoro onesto a chi ne ha bisogno.
Le dicerie viaggiano come foglie al vento e non c'è da stupirsi che alcune di queste abbiano seguito Rachele fino al Borghetto. Si vocifera che sia una donna risoluta, molto curiosa ma forse troppo capricciosa. Figlia di un uomo che tanti anni fa ha abbandonato questo umile luogo trovando fortuna in una delle floride città del Regno, Rachele è cresciuta sul lungomare di Otranto tra un viavai di gente sempre nuova e sempre molto aperta e vivace. Le malelingue la suggeriscono come una donna piacente spesso al centro delle attenzioni maschili, forse anche causa del suo fascino caldo e intenso, ma ora è una signora impegnata in un matrimonio dignitoso con nondimeno che il sindaco Boccamazzi. Arrivata da poco nello sperduto Borghetto, nonostante l'aiuto di sua zia Iole sembra non essersi ancora adattata ad un paese così umile. La monotonia le sta stretta e l'insoddisfazione le si legge in faccia.
Gerardo ha sempre amato raccontare storie fin da ragazzino. Al Borghetto tutti sanno di quando da piccolo si perse nel bosco e San Francesco lo salvò da un branco di lupi affamati. Un aneddoto che racconta ancora dopo tanti anni, soprattutto quando in osteria passa qualche forestiero. Ma che nessuno si faccia ingannare dalle apparenze, molti diranno che è tutto vero! Forse per questo la gente si fida di Gerardo, dev'essere sicuramente caro al Signore e si dice che, se hai bisogno di parlare, puoi confidarti con lui e che saprà allietarti con qualche storia delle sue, tra un bicchiere di vino e l'altro.Ha sempre una buona parola per tutti, tranne per la moglie Iole che definisce una chiacchierona. A volte li si può sentir litigare fin dal bosco. Durante i preparativi per il matrimonio della nipote Rachele era un continuo punzecchiarsi, ma tutti sanno che dietro i litigi si amano come poche altre coppie.
Molti potrebbero descrivere Gerardo come una persona allegra e curiosa. A volte può però capitare di vederlo perso tra i suoi pensieri, con sguardo sognante, forse pensando a quelle storie mai vissute.
Il profumo fragrante dei prodotti di Adalgisa è solo una delle belle cose che questa donna così altruista ed energica ha da offrire. È praticamente impossibile vederla con le mani in mano, non c'è persona più utile e disponibile ad aiutare con il sorriso in tutta la comunità. Povera Ada, aveva una famiglia così numerosa una volta, ma ora è rimasta sola con solo gli amici e le pagnotte alle olive a tenerle compagnia. Anche l'ultimo lutto è stato un duro colpo, era così triste al funerale... Ma non si fa mica abbattere da questo! Questo mai! Spontanea e solare, rimette sempre le mani in pasta e lavora senza sosta, speranzosa che un giorno forse potrà riottenere quello che ha perso. Dopotutto l'impasto fatto come si deve per lievitare bene ha bisogno di tempo e di attenzioni, un po' come tutto nella vita.
Folco è tornato! Se cercate una persona pratica e laboriosa provate a chiedere di Folco. Lasciò la sua casa con poco e in cerca di fortuna e con ancor meno è tornato. A chiederlo a lui, dice che la ricchezza non è cosa che spetti ai semplici. Gira voce che sia stato a servizio di una gran Dama, ma non ce n'è segno nel suo aspetto. Anche se però ogni tanto racconta storie e sembra conoscere segreti che davvero non dovrebbero avere nulla a che fare con un poveraccio come lui.
L'esuberanza e l'audacia che in passato lo spinsero a partire oggi sembrano sepolte, ma rimangono lì, sotto il peso della realtà e del dolore. Parenti e amici dicono di vederlo cambiato e il ricordo di un ragazzo focoso ed energico sembra sbiadito. Una volta non c'era un torto che lui non si fermasse a raddrizzare, sempre pronto a prendere le parti dei più deboli. Non verrebbe da dire generoso, ma certo pieno di spirito di giustizia. Oggi invece, mansueto e calmo esegue comandi e lavora come un mulo. Le lacrime del dolore si mischiano con il sudore della fatica.
C'è Amilcare e c'è il Bosco. Per tanti al Borghetto i due però sono praticamente la stessa cosa. Tutti e due sanno essere solari e raggianti quanto terribili e tenebrosi. Si vede spesso Amilcare indossare i suoi stivali sudici e buttarsi sulla schiena la sacca prima di incamminarsi nel Bosco. C'è chi lo vede sparire verso Nord, chi verso il fiume, altri verso la valle. Sembra non seguire mai un sentiero, probabilmente perché tutto il bosco è per lui un sentiero ben conosciuto. Anche dopo aver sposato Cianciarella, le sue abitudini sono cambiate poco, non pare importargli molto del matrimonio... con una moglie cosi' d'altro canto... Amilcare vende la selvaggina che con estrema abilità riporta ogni pomeriggio dai suoi viaggi, e poi passa lunghe serate in taverna a gozzovigliare, a volte ridendo e sbracciandosi come un albero mosso dal vento, altre incupito e rabbioso come un animale braccato. Se chiedete in giro, vi diranno che il bosco sembra sempre essere in qualche modo dentro di lui.
E pensare che dicono che Viola fosse una che una volta stava bene. Casa, marito timorato di dio, e due figli belli e biondi come spighe di grano. Poi il piccolo è morto di febbre cattiva, e l'altro s'è fatto soldato per gli spagnoli e non è più tornato. E alla fine il terremoto s'è portato via casa e marito. Niente l'è rimasto a Viola, solo vesti bucate e animo amaro. Cosa avrà mai fatto, che nostro Signore ha deciso di affliggerla così tanto? Certi dicono che di sicuro ha commesso qualche atto blasfemo che le ha portato tutte quelle sventure. Magari ha mancato di rispetto alla Madonna delle Grotti. Altri dicono che qualcuno era invidioso e le ha fatto il malocchio. Che se le stai troppo vicino finisce che te lo prendi anche tu.
Certo è che Viola è una poveraccia, e che se non era per l'elemosina di Padre Silvestro era già morta di fame da un pezzo. Eppure lei non si rassegna, rimane attaccata alla vita e ha sempre una parola cattiva per chi le incrocia la strada.
Che questo sia un taccagno è cosa risaputa. Chiedete a chiunque! Vi diranno che non caccerebbe un soldo neanche per salvare la madre in fin di vita. I più malelingua dicono che farebbe affari anche con il demonio pur di far profitto. Malelingua, malelingua... alla fine lo pensiamo tutti, anche le buon anime senza malizia.
Purtroppo tocca averci a che fare, possiede infatti il frantoio alla collina e la produzione di olio della zona dipende da questo avaro insensibile. Che voi siete signori o villani non potete fare a meno di lui e Prospero questo lo sa bene: vi guarderà dall'alto in basso e darà un prezzo ai vostri bisogni.
Lo abbiamo visto con questi occhi dar legnate alla povera Viola solo per aver chiesto un po' di pane. 'Sto figlio di un cane è probabilmente più facoltoso del Duca di Civita stesso, ma non sarà mai certo un signore né di modi, né tanto meno per carità cristiana.
Lungo il sentiero ci sono di nuovo delle piccole forme a cuore fatte con i sassi, ma non c'è dubbio su chi le abbia fatte. Amabile sorella minore di Rachele, è arrivata qui al Borghetto assieme a lei e fin dal primo istante si è capito quanto diverse queste due siano: al contrario della sposa del Sindaco, gli occhi di Mara si sono subito illuminati di meraviglia alla vista di questo piccolo paese così intimo e pittoresco. Per la gioia di sua zia Iole, fin da subito si è data da fare e si rende disponibile per tutti quei piccoli lavoretti che la gente tende a lasciare da parte. C'è romanticismo in ogni parola che pronuncia, in ogni sorriso che indossa, in ogni fiore di campo che coglie per prepararsi alle giornate di festa. Lo mette anche nelle mani di altre persone, perché niente la rende più felice di essere colei che fa nascere l'amore tra una nuova coppia. Poi, che per fare questo a volte risulti un po' impicciona è un'altra storia.
Ogni sottana è fatta per essere sollevata, ogni pizzo per essere tolto, e tutto questo mondo bello e tornito deve essere goduto. Due qualità sono note a tutti, di Gioacchino l’arrotino: l’abilità di mano e … beh, non devo dirvelo io. Quando Gioacchino, detto Esculanto, chissà perché, si ferma a lavorare nella piazza del paese, i suoi occhi luccicano in ogni direzione, mandando sguardi languidi a chiunque passi: prende le lame, prende i coltelli, e con mano ferma ma agile, in un volio di scintille che gli illuminano i polsi e gli occhi, arrota e arrota: e la lama è come schiena di donna, dolce e curva, ma affilata nel suo andare, che se non si sta attenti ci si taglia… e ogni sorriso luccica come metallo appena lucidato, che Gioacchino manda di qua e di là, a colpire, ammaliare, e sedurre… e poi chissà, a lavoro finito, se qualche giovane contadina arriva a casa con la paglia nei capelli e le guance rosse, sarà stato per la fretta di rincasare, non certo per le parole smielate dell'arrotino… tanto ormai il sorriso di Gioacchino già si rivolge ad altre piazze, altre lame, altre donne…
Spesso lo si vede percorrere questi vicoli, ben curato nell'aspetto, naso in su e petto in fuori, guardando dall'alto verso il basso tutti coloro che si scansano al suo passaggio, magari a volte mostrandogli addirittura un inchino.
Tutti conoscono il Dottor Melchiorre Orsini, non per l'altisonante nome o genealogia, ma soprattutto per il suo ruolo nella doganella. Contadini e pastori gli hanno versato decime. i fuggitivi la mazzetta per passar inosservati, i latifondisti cercano la sua amicizia per vantaggi immediati e futuri.
Dottore in legge, declama norme come fossero poesia. Si sa che ha tolto dalle grinfie del boia molti birbanti, malfattori e, molto più raramente, anche innocenti, i quali troppo spesso sono solo poveracci con il problema di non avere denari o amicizie altolocate, al contrario delle canaglie.
Si aggira nel cimitero con un cappuccio scuro calato in testa. Affonda con forza la pala nella terra umida, con solo le lapidi a tenergli compagnia. Giusto il gracchiare di una cornacchia può comparire, se proprio dev'esserci un'altra presenza. Una visione oscura, i bambini lo temono e si nascondono dietro le sottane delle madri quando lo scorgono. Ma poi arriva sera. Via la pala, via il cappuccio, e Lodovico si avvia per la strada fischiettando allegro verso la taverna. Che festa! Eccolo nel suo ambiente naturale mentre recita battute di dubbio gusto e fa l'occhiolino alla cameriera di turno. Incredibile come le apparenze possano ingannare, non è vero? Giocoso e carismatico, questo vecchio volpone è proprio straordinario nei suoi modi di fare e non passa mai inosservato. Nemmeno la sua professione riesce a nascondere l'innata simpatia che lo contraddistungue e che come un magnete lo circonda di gente. E stasera offre lui!
Per l'amor del cielo, lasciate perdere quella donna tutta affaccendata. Certo, è difficile ignorare una persona così peculiare, ma per il vostro bene è meglio che la lasciate lavorare o chi se lo sente Prospero: lui dice che una così è buona solo a fare quello che le viene detto. Ma Norma ha qualcos'altro negli occhi, un fuoco quasi celestiale che guida il suo cuore e la sua mano.
A incontrarla viene da prendere le distanze e fissarla da lontano, perché mette un po' di inquietudine quando la si sente parlare da sola mentre manda le sue preghiere direttamente all'Arcangelo Gabriele. Eppure viene da chiedersi, se sia davvero matta o se gli angeli le parlino realmente. Certe volte, anche stanca e sporca di sudore, pare che la luce di follia che le illumina il viso arrivi davvero da un luogo ultraterreno.
Molti sono quelli che sostengono che sarebbe meglio tornasse con i piedi per terra, che di questo passo non andrà da nessuna parte. Sebbene ci siano anche coloro che odono in lei la voce dei Santi.
Sguardo duro e modi cortesi sono le prime cose che noterebbe chiunque lo incontri per la prima volta. Se chiedete ai suoi sottoposti, vi diranno che è un capitano severo, ma giusto, uno che sa come si conducono gli affari a questo mondo.
Quando giunse al Borghetto per la prima volta, tre anni orsono, i vecchi lo dissero subito che, pur essendo straniero, doveva essere una gran brava persona, che in qualche modo bisognava sentirsi fortunati che ci avessero assegnato lui. Perché a loro, che ne avevano patite, fu chiaro appena lo videro: il Capitano Escrivà era uno che aveva subìto la guerra, che capiva il dolore e che aveva visto in faccia la morte, ma anche che, nonostante ciò, ancora amava la vita. E ci vuole insomma un certo carattere, una certa nobiltà d’animo per non farsi corrompere dalla brutalità della violenza.
Tre anni sono passati e mai una volta ci fece maledire la corona per avercelo mandato. Certo se ci sono disordini mostra il pugno di ferro, sarebbe anche il suo lavoro d’altronde, quello per cui viene pagato, e ci guarda dall’alto in basso come fosse migliore di noi, ma non più di quanto facciano il Duca o i Boccamazzi alla fine. In genere però, se lo si prende per il verso giusto sembra proprio uno a posto… uno di quelli a cui affideresti la tua vita senza pensarci due volte.
Di nobile portamento e di nobile cuore, animo coraggioso e mano inesorabile in battaglia. Molti si chiedono perchè Hugo de Moncada sia solo un umile moschettiere. Si racconta che abbia per ben due volte rifiutato il titolo di capitano, che non voglia lasciare i suoi compagni che così tanto dipendono dalla sua guida. Certo è che certe volte a vederlo passare per le vie del paese fa proprio impressione, con gli altri due che gli camminano al fianco, fedeli ma sempre un mezzo passo indietro. Certo che a volte, a vederlo passare così, sembra uscito da una di quelle storie antiche di cavalieri che raddrizzano torti e sfidano draghi. Dicono che abbia qualche segreto, qualche nube nera nel suo passato, che lo porta a pensare cose tetre, che gli incattiviscono lo sguardo. Le comari del paese sono sicure che si tratti di un amore perduto. Ma che ne vogliono sapere loro. Forse la verità non la sapremo mai, e Hugo de Moncada rimarrà per tutti un affascinante mistero.
Nessuno al paese sa cosa pensare di questa strana creatura. Tempo fa, forse perché aveva bevuto un bicchiere di troppo, il Capitano Escrivà c’ha provato a spiegare come è arrivata fin qui, ma davvero sembra follia. La storia vuole che il duca e generale, Gabriel de la Cueva, quando seppe che la sua amata moglie per la terza volta aveva dato alla luce una bambina, maledisse il destino e lo stesso Signore nostro Dio, che non voleva benedirlo con un erede maschio. Ma il generale era avvezzo a non farsi piegare dalla sventura e a modellare il fato secondo suo piacimento. Fu così che Ana non venne cresciuta come le sue sorelle e invece ricevette tutti quegli insegnamenti che di solito sono impartiti ai ragazzi, financo l’uso della spada e del moschetto. Tutti pensavano che fosse solo un vezzo del generale, la superbia di un un uomo che si oppone al volere di Dio e che ben presto la povera ragazza avrebbe avuto la possibilità di avere una vita più consona al suo sesso. Nessuno si aspettava che il generale usasse la sua influenza per far avere alla figlia un reale incarico militare, seppure di stanza in un oscuro avamposto di confine, dove nulla di pericoloso dovrebbe accadere. Così adesso Ana si trova al Borghetto, la sua vita e il suo onore nelle mani del Capitano Escrivà e dei suoi compagni moschettieri. E le povere e semplici genti del paese non sanno che pensare di questa strana creatura.
C'è chi ridendo dice che quando nacque Ramon sedusse già la levatrice. Ch'egli fosse un bambino solare e sorridente era sotto gli occhi di tutti, ma non lo era tanto perché fosse d'animo allegro, quanto perché aveva capito che adulazione e carinerie possono portare lontano. Crescendo pare abbia applicato con costante impegno questa teoria, cosicché tra una stretta di mano al signore di turno e uno sguardo ammiccante alla signorina del momento, Ramon è salito di grado nell'esercito di sua maestà e sceso con baldanza tra le sottane di molte cortigiane. Non che lo faccia senza passione, badate bene! In tante raccontano, spesso tra le lacrime, che il suo cuore pareva palpitare di vero amore. Ma state pur certi che la sera dopo l'avreste trovato in osteria a vantarsi, con racconti che poco lasciano all'immaginazione, della nuova tacca aggiunta al manico del suo moschetto. Così i compagni ammirano la spregiudicatezza di Ramon e non poche giovani segretamente anelano d'essere la prossima a finire tra Ramon e la paglia del fienile. Ma non tutto ciò che si desidera si ama. Amico di tutti, Ramon ha pochissimi veri amici, per cui farebbe qualsiasi cosa. Amante di tutte, Ramon di vero amore non ne ha mai sprecato una goccia.
Onde si infrangono su bastioni infiammati, fragore di tuono e cannoni che pervadono l’aria, forti come i cori di una cattedrale: una figura si staglia nella luce delle navi infuocate, il volto freddo, duro, inamovibile, la tonaca nera che fugge nel vento, trattenuta da un’armatura luccicante. Chiunque guardi negli occhi di Josè Hernan Maria de Santa Cruz Benedicta y Molina Salazar può sentire l’eco di queste immagini: quando cammina per le strade del paese, la folla si apre come un mare in tempesta davanti a delle galee. Dicono che sia lui la vera testa dietro al Capitano Escrivà, chissà se è vero... Ciò che è noto è che questo gesuita ha una determinazione di ferro, è il figlio cadetto di una potente casata di Castiglia e userà qualsiasi mezzo per ottenere ciò che vuole. Solo una domanda sorge spontanea a chiunque lo veda camminare solo, la sera, per i vicoli del paese: cosa nascondono quegli occhi, quella tonaca scura, quell’armatura impenetrabile?
Noi villani spesso non vediamo di buon occhio soldati e stranieri, ma da quando il dottore usò la sua arte sulle nostre genti, iniziammo allora a sentire la sua umanità e la riconoscenza ci fece apprezzare l'uomo e non la bandiera, il vessillo aragonese sotto il quale serve. Rodrigo Falero sa disquisir di scienza e massimi sistemi con dotti e uomini d'ingegno, eppur pratico come pochi nel suo agire, ripara ossa e cauterizza ferite. Innalza la mente nelle alte disquisizioni e ragiona su Esculapio e Ippocrate con l'amico Tommaso Costo. Si insozza le mani nella terra per cavar le radici per balsami e unguenti con il contado. Somministra salassi pesanti per far fluire gli umori cattivi e battute leggere per far salire l'umore degli infermi.
A sentirla raccontare da Cristobal è successo che alla signora Ana de la Cueva, che è tanto nobile e gentile, le serviva uno scudiero o magari un servo o forse una cameriera, che bastava che fosse più o meno di natali spagnoli e che fosse di buona volontà. E così ha raccattato Cristobal, praticamente tra i vicoli di Napoli, visto che le buone sorelle della Casa d’Accoglienza di Maria Addolorata per Giovani Destituiti, dove al tempo Cristobal dimorava, mica facevano tanto caso a dove i loro protetti passavano le giornate. Cristobal si è così ritrovato ben vestito, con due pasti al giorno, e al seguito di un gruppo di moschettieri che sembrano le favole che gli raccontava sua nonna, tanto tempo fa, quando la vita era più bella. Era così ben ripulito che quando è arrivato al Borghetto la gente del posto ha cominciato a chiamarlo signore e a fargli la riverenza. Lui si è fatto delle gran risate, ed è andata a finire che la gente del paese l’ha preso in simpatia. Si sono affezionati, si preoccupano, pensano che un bravo giovane è sprecato a fare la guerra e si potrebbe accasare con qualcuna del paese. Cristobal ride, lui è sicuro che diventerà moschettiere.
Fra fumi verdastri, si ode il tintinnio di collane d’osso e piccoli sonagli ed eccola arrivare, i capelli come rami, gli occhi come lame, Agalburza, la bruja, la strega. Non si sa come sia lì, in mezzo ai devotissimi spagnoli e non solo vive con loro, ma anche, in un qualche modo, pare detenere il loro rispetto… forse non quello di padre Salazar, ma poco importa, perché quando la bruja parla, il Capitano tace e ascolta. Non si sanno quali poteri detenga, ma colpisce che nella sua voce l’accento non sia iberico, bensì italico: che la sua origine sia più vicina di quanto non sembri? Al paese si vocifera di tutto su di lei, ma ben poco si sa…soprattutto, perché sia qui.
Un tonfo nell’acqua. Dalla scalinata della piazza del mercato improvvisamente si riversa un ammasso di arance, pagine volanti e libri impolverati: il signor Costo è di nuovo inciampato nel carretto del fruttivendolo! Mai che tolga, anche solo per un attimo, lo sguardo dal libro che sta leggendo: sempre con gli occhi concentrati, dietro quei fondi di bottiglia che usa per vedere meglio, chino su qualche tomo o pergamena ritrovata negli archivi in cui lavora. Il passo affrettato, un po’ traballino, non ha neanche fatto tempo a voltare pagina che è rotolato giù insieme ai mandarini, che sciocco! Uno storico, un intellettuale, eppure pare così poco abituato a stare con gli altri… non che abbia problemi ad attaccar bottone, se gli si fa qualche domanda sui suoi studi: capace che ti tiene per ore, e parla parla parla… di solito per chiudergli la bocca bisogna o scappare o offrirgli da bere. Nonostante sia arrivato qui da noi con gli spagnoli, direttamente da Napoli, in realtà è un napoletano figlio di napoletani: certo la lealtà alla corona e robe varie, ma possibile che sia qui solo per redigere il rapporto di missione e fare da osservatore per il Viceré?
Tutti sanno che quando nasci de Lara significa una cosa sola: la tua vita è destinata ad essere unica, rilevante, costellata di eventi importanti, abiti sfarzosi e persone notevoli. Certo, c'è il rovescio della medaglia, e anche quello lo ben sa chiunque: nessuna scelta nella tua vita potrà mai essere guidata dai tuoi sentimenti, ma solo da attento calcolo politico. Si dice però che Maria Ines questo limite non l'abbia mai digerito ed è cosa ben nota che più d'una volta si sia fatta pescare fuori dal palazzo mentre girava in abiti poveri per scoprire quella che è la vita vera della gente comune. Ovviamente più d'uno ricorda d'averla sentita piangere nelle sue stanze la notte dopo l'annuncio del suo fidanzamento con il Duca Onofrio Pandolfi. Ora pare sia tornata in sé, sembra che il sangue nobile che scorre nelle sue vene abbia avuto il sopravvento... e indossati gli abiti migliori, s'è recata fino al confine, fino a Civita, per incontrare il suo promesso sposo. Certo è che non tutti sono convinti che sotto a quei rinfrescati abiti preziosi, il suo animo non sia rimasto indomito.
Forbici e pettini escono dalle tasche di una parannanza. Su un tavolo un bacile con acqua fumante, un panno, in una ciotola un pennello raccoglie la schiuma di sapone profumato. Tra tutto questo si può notare un indaffarato Alonso, il barbiere.
Nobili e potenti hanno confessori e consiglieri che li guidano, ma anche costoro hanno i loro confidenti, il barbiere è sicuramente uno di questi. Il signore porge la gola alla sua lama e la Dama gli affida la sua beltà, Il commerciante parla di affari in sua presenza. Con tutti parla e segreti sa tenere, almeno così si dice in giro. Sicuramente è il factotum del campo Spagnolo, ognuno chiede e comanda e lui offre servizi e consigli o olio di gomito. Ma quale sono le sue aspirazioni? A qualcuno ha detto di cercar felicità nella famiglia a qualcun altro nella ricchezza, e poi nella fede... forse anche lui deve ancora capirlo.
Pare che il buon Escrivà di recente avesse chiesto gli fossero mandati altri uomini per meglio gestire la situazione caotica che si è creata con tutti questi Civitesi. Juan arrivò pochi giorni dopo, fresco fresco di caserma. Solo. Un uomo a fronte dei molti richiesti dal Capitano, come se chissà che portento potesse essere. Se vi fate un giro per Borghetto, potreste vederlo. Lo riconoscereste subito che è lì che fa la ronda per il paese, come se dal suo fare dipendessero delle vite. Povero Juan, ancora non l'ha capito che da queste parti non succede proprio niente. Che gli altri, tipo Ramon o Cristobal, l'hanno capito invece e se la spassano. Lo capisse anche lui che, invece di starsene impettito a farsi venire il mal di piede, potrebbe sedersi a farsi quattro chiacchiere tranquillo, due bicchieri di rosso, una partita a carte... sicuramente lo vedremmo sorridere di più.
Marisol, con sguardo severo, ti scruta con le mani poggiate ai fianchi. Donna alacre e discreta, si dice che sappia tenere il punto, soprattutto quando si tratta di difendere la propria signora, Dama Maria Ines: si pianta davanti a chiunque provi ad importunarla, magari in momenti poco opportuni, e non lascia passare nessuno. E se qualcuno approccia Marisol, magari per entrare nelle sue grazie, lei rifiuta decisa, dicendo che il suo uomo non lo permetterebbe, anche se nessuno mai l'ha vista accompagnata ad uomo alcuno. Anzi, accade sovente che, se qualcuno le dice zitella, lei risponde di aver la fila di amanti, ma li rifiuta tutti aspettando quello giusto.
Sicuramente devota, la si può trovare tutti i giorni a prender messa con Padre Salazar o in confessione dallo stesso. Ma se è marito che cerca, certo non è in questo modo che lo troverà.
Il Duca Onofrio Pandolfi è certamente un signore, forse l'unico vero signore che c'è da questa parti e certamente non manca di ricordarlo a chi gli sta attorno. Impeccabile nel vestire e nel galateo... almeno quando è sobrio. Dicono non esca mai di casa senza lavarsi le orecchie e regolarsi la barba. Qualche mese fa ha pure comprato una lozione di chissà quali terre lontane che sparge sul collo in grandi quantità cosicché anche i muli si girano quando passa. Il Duca è persona attenta e rispettata che s'è speso anima e corpo per la sua Civita. Salvo poi vederla distrutta da un terremoto. Ma Onofrio è già al lavoro per organizzare la ricostruzione, sempre che non lo si ritrovi a giocare a carte alla locanda quasi fosse uno bifolco qualsiasi. S'è visto spesso, il Duca, avere atteggiamenti non troppo nobili a notte fonda circondato da tre o quattro bottiglie vuote. Ma che ci vogliamo fare? È un signore e pieno di preoccupazioni, qualche svago dovrà pure concederselo.
Un civitese si rivolge sempre a Eusebio quando ha un problema. O un dubbio. O una denuncia. O bisogno di aiuto per una qualsivoglia necessità di dimensioni cataclismiche. Un'autorità tra i suoi concittadini, è bravo nel suo lavoro e lo sa: il braccio armato del Duca Pandolfi non serve solo a punire i nemici ma anche a sorreggere un gruppo che ora più che mai sta passando un periodo instabile. Sempre arrogante e scostante, i suoi concittadini non diranno mai che è la persona più affabile da avere affianco, ma nessuno gli mancherebbe mai di rispetto. Sembra sempre capire al volo se una persona è affidabile o meno e lui, con la sua arma, è pronto ad agire di conseguenza ogni singola volta. In pochi confessano di averlo visto abbassare la guardia, e quelle poche volte che è successo è stato davanti a un bicchiere mezzo vuoto... Sembrava studiarlo con sguardo spassionato e con la mente lontana. In un altro luogo, o in un altro tempo... Nel dubbio è meglio riempirlo ancora di vino.
A Civita lo sanno tutti che se non fosse per Tecla il Duca l'avrebbero ritrovato morto in un fosso da un pezzo. Una benedizione davvero questa santa donna, che ricorda al Duca di prendersi cura degli affari del paese, che fa in modo che il Duca non litighi troppo con i vari potenti del circondario, che tiene sotto controllo quella masnada di cortigiani sanguisughe mangiapane a tradimento che si sono piazzati alla corte del Duca e, se non fosse per Tecla, gli avrebbero già mangiato e bevuto tutto il patrimonio. Le malelingue, per lo più gente del Borghetto che invece i Civitesi mai una cattiva parola, dicono che senza Tecla il Duca non saprebbe manco trovare le sue braghe o scegliere che mangiare a colazione. Che poi anche a Tecla mica è andata male. Certo il Duca le da un sacco di grattacapi, ma per essere una nata con niente si è riuscita a trovare proprio una bella sistemazione. A volte sembra che a Civita comandi lei, e se Tecla ce l’ha con te, finisce che sono guai molto grossi.
La lunga storia degli Anguillara si perde nei vicoli del tempo e di Roma o almeno questo è quello che vanno sostenendo. Come molte famiglie che aspirano ai salotti della nobiltà romana, gli Anguillara hanno vissuto altalenanti momenti di splendore e decadenza, e come è noto a tutti ora stanno decisamente attraversando il secondo. Una possibilità di risorgere Claudio l'aveva vista bene ed era il matrimonio della sorella Angelica. Se solo non fosse tutto stato mandato in fumo da quello Sciarra e quei manigoldi al suo seguito! Ad ogni modo Claudio non è certo uno che si da per vinto. Ha un'ottima posizione a Civita, al fianco del Duca Onofrio Pandolfi che gli permette di avere un mestiere onesto e almeno una parte di quel potere che avrebbe sempre voluto avere. Ora però, tra la scomparsa della sorella e il terremoto, Claudio s'è fatto più irrequieto. E quelli come lui hanno sempre un piano ben congegnato in mente.
Eccolo, il forte tonfo degli zoccoli del cavallo che si fanno sentire. Il trottare dell'animale annuncia il suo padrone e lui lo preferisce al più brillante squillo di tromba. Per Gagliaudo si può dire che il suo nome lo precede: la famiglia delli Aulari è ben conosciuta e non si può rifiutare una loro nobile visita. Proprio per questo, volente o nolente, il Duca lo sta ospitando alla sua corte a sue spese. I mormorii nei corridoi lo dipingono come un uomo molto orgoglioso di sé, della sua vita e della sua famiglia. Infatti spesso lo hanno sentito parlare dei suoi parenti, inclusa la dolce cugina Rosaspina. I racconti dei suoi viaggi passano di bocca in bocca causando invidia ai più audaci e curiosità nei più timidi. Si racconta che stia sfruttando fino all'osso la sua condizione di cavaliere errante e che non gli pesi non avere una terra sua, tutt'altro. All'interno delle corti vociferano che questa apparente mancanza di ambizione non lo renda altro che uno sfaccendato, ma altri dicono che l'invidia è una brutta bestia. Cosa potrebbe mai volere di più? Non si sa, però forse le imprese da affrontare a fil di lama non sono ancora finite.
La sua storia la sanno tutti, raccontata in osteria e dalle comari, pettegolezzi e voci portate dai viaggiatori che passano per Civita e sanno che qui c'è un parente suo. Per non parlare delle chiacchiere che hanno riportato quelli che dagli Aulari ci sono stati a servizio, anche se forse dei servi scontenti non c'è da fidarsi. Gagliaudo, il buon cavaliere, racconta spesso di questa sua cugina, che appartiene al ramo più ricco della famiglia e che era destinata a sposarsi qualche gran signore, magari anche qualcuno che la portasse a Roma. Poi così, dalla sera al mattino, lei ha deciso di farsi suora e, senza neanche aspettare la benedizione della sua povera madre, è andata a farsi novizia nel monastero delle Clarisse, a Santa Maria della Provvidenza. Quante ne hanno dette del perché di questa scelta, e quasi nessuno ci crede che sia stata la voce degli angeli a dirle di donarsi al signore. Pare che la sua povera madre non si sia ancora ripresa e pianga tutto il giorno sul destino della figlia sventurata. E Rosaspina è proprio sventurata, sono arrivate infatti voci che una grossa disgrazia sia capitata al monastero delle Clarisse, proprio pochi giorni fa.
La reverenda Madre Donata, dall'alto del suo uffizio, tutto scruta ed ognun osserva, le suppliche ascolta e le questioni spirituali e terrene dirime. Un gran signore, un nobile suo pari, disse di ammirare in lei un'abile avversaria nella disputa politica, retto portamento e imperioso tono di voce di chi conosce il comando e sa adoperarlo. Il fratello Duca potrebbe ancora rintracciare la piccola Ildegarda Pandolfi, circondata di balocchi, agi e servitori che la riverivano e giocavano con lei. Il supplicante in cerca di aiuto troverà pietà e ristoro. L'approfittatore la furia e sdegno di nobildonna. Le sorelle dell'abbazia di Farfa vi riconoscerebbero il rigore della regola ed esempio di virtute. La novizia ammutolisce al suo cospetto, ma trova anche parole calde capaci di tirarti fuori dal profondo della disperazione dell'animo, balsamo per lo spirito, perché conosce la disperazione di colei che tutto dietro di sé ha abbandonato per fede, bisogno o imposizione. Ma cosa, la Madre Superiora Donata pensa di se stessa non è dato a noi mortali conoscere, solo il Signore conosce il vero. La vita è tutto uno schivare il peccato e combattere in Nome di Dio e del Suo Vicario in terra!
Si dice fosse un’orfana, una dei tanti bambini cui la guerra tolse i genitori. Cresciuta dalle monache dell’Abbazia di Farfa, non poteva che finire per farsi monaca anche lei. Che poi mica è questa disgrazia la prospettiva di avere pasti caldi e un posto dove dormire. Ma, a sentire i pettegolezzi che girano per quel convento - che evidentemente non è uno di quelli che impone il silenzio alle sue sorelle - sembrerebbe che Eufrasia sia una testa fina. Imparò a leggere e scrivere già da puera e, ancora giovanissima, dissertava e copiava gli antichi tomi latini e greci. Si dice anche che da bambina poneva domande su domande, irritando non poco le sue tutrici. La Badessa di allora deve averne capito l’indole e deve aver pensato che una mente acuta come la sua doveva essere mandata a studiare etica e teologia nella grande città, in qualche seminario serio. Prima che, in assenza di gente che sapesse rispondere alle sue domande argute, iniziasse a darsi da sola risposte sbagliate e poco cristiane.
Dicono che tornò da Roma piena di sapienza su tante cose del mondo, ma anche che la sua sete non si fosse per nulla estinta. Comunque siano andate le cose, oggi è divenuta l’assistente personale dell’attuale Badessa, la Madre Superiora Donata. E per una povera bambina di umili origini come lei, difficilmente le cose avrebbero potuto mettersi meglio.
Chi sia Diletta, può raccontarlo chiunque a Civita, ma anche al Borghetto se è per questo. Che non c'è malanno, acciacco o infortunio che lei non abbia visitato. Sempre a far la spola, povera Diletta, tra un paese e l'altro. D'altronde ci sarà pure il confine qua, ma la gente della valle quella è. E già è una fortuna che uno di medico ce l'hanno. Sempre stata della Valle fino all'osso. Anche dopo che tornò dai suoi anni di studio a Perugia, qualunque Civitese la salutava come se non fosse mai partita e, più gli anni passavano, più sentivi solo dicerie buone su di lei, come se la Madonna delle Grotti in persona l'avesse benedetta. E chiunque lodava le sue capacità di curare e di prendersi cura. Tenuta in gran conto da tutti quindi, anche se non sembrerebbe aver mai goduto di nessun vero affetto. Pensare che quando era bambina le risate sue e delle sue piccole amiche, Eufrasia e Mirabella, portavano gioia a tutta la valle.
Ma quanto è bella la sposa, che mette proprio gioia a guardarla. Povera Porzia, quante ne ha passate negli ultimi tempi, col terremoto che si è portata via tutta la sua famiglia. Quasi si portava via pure lei, povera anima, ma il Signore l’ha protetta e l’hanno ritrovata sotto le macerie che non si era fatta niente, neanche un graffio. È stato proprio il suo Bartolo a trovarla, a portarla di nuovo alla luce. E come in una storia di quelle belle, i due si sono innamorati e presto si sposeranno. Che fortunata è Porzia, la storia di lei e del suo Bartolo è così bella che tutti a Civita e al Borghetto si sono messi ad aiutare per farle avere un bel matrimonio, come avrebbe voluto la buon’anima della sua mamma. Pure la signora Elvira si è fatta intenerire il cuore e si prende cura di Porzia neanche fossero parenti. Certo qualcuna delle comari di Civita dice che Porzia poteva fare meglio, che ha fatto male ad accettare così in fretta la proposta di Bartolo. E qualcuna delle comari del Borghetto dice che è risaputo che Porzia ha sempre avuto troppi grilli per la testa e Bartolo certo non ci sta facendo un affare. Ma si sa, le comari hanno sempre qualcosa da ridire.
A detta di molti se scruti bene tra le messi e i frutti della campagna di Civita un fiore primeggia sugli altri e concede, a chi ha animo di ammirare con prudenza e rispetto, la sua beltà. Concetta, nei campi con le amiche, gioca ad intrecciar ghirlande e a parlar d'amore, come sia bello quello o che buon partito sia divenuto tal altro. Se la fai indispettire repentinamente ti punta quel ditino addosso e la sua lingua, tagliente come una lama, fa tremare la tua anima e ti fa sentire piccolo. Sa tenere a bada i corteggiatori, anche i più insistenti danzandogli intorno, inebrabriandoli di odori di rosa e lavanda, rispondendo ai sorrisi e punendo gesti inopportuni con una freddezza tale da gelare il cuore. Certi del paese giurano che se lei ce l'ha con te neanche la Madonna delle Grotti può salvarti l'anima. Anche le rose più belle hanno le spine.
Chi è l'ospite del Duca? Dicono sia un gran poeta, uno che canta delle gesta dei cristiani partiti a liberar il Santo Sepolcro sotto l'egida di Papa Urbano II. Anche se, l'ho sentito recitare un passo della sua Gerusalemme liberata e non mi è sembrato un granché; il cantore della fiera dell'Assunta di due anni fa era più bravo a mio parere.
Si dice però che potrebbe allettarci con trame di palazzo nelle corti D'Este e Gonzaga o della Serenissima, ma, a chi glielo chiede, risponde che il poetare è arte più alta e nobile di fare chiacchiere. Gira voce inoltre che il Costo si dica onorato di poter disquisire di Ars Poetica col maestro Torquato Tasso in persona. E infatti proprio l'altro giorno confabulavano all'osteria i due, hanno attaccato a criticare l'Orlando: dicevano sarebbe stato meglio, invece di abbindolare con prodigi superflui, descrivere l'animo dei personaggi e cercare la verosimiglitudine, boh, o qualcosa del genere...
Certo che se questo gran poeta cerca gesta eroiche alla corte del nostro Duca resterà a becco asciutto, sia di storie che di ducati. O forse è così che va in fumo la decima che paghiamo, ma a noi non è certo dato sindacare.
Dicono sia un'attrice. È alla corte del Duca da prima del terremoto, rimasta ivi bloccata in attesa della sua compagnia di teatranti, con tanto di contratto notificato a Roma. E forse nella grande città ora permettono alle donne di fare cose da uomini, ma da queste parti sappiamo benissimo cosa significa. Un'attrice... come dire una coritigiana, una meretrice, una poco di buono nel migliore dei casi. Non a caso il Duca si profonde di salamelecchi e galanterie in sua presenza. Chissà, poveri Civitesi, quanto del loro pubblico denaro vedranno delapidato tra le pieghe di una sottana. Sicuramente parla come chi ha studiato, come un vero attore e sa come vestirsi per apparire una per bene, che gira per nobili palazzi. Sembra anche troppo per il seguito del Duca, quella ne sa certo una più del Demonio e chissà quali piani ha in realtà in testa.
Era il Canonico di Civita, prima che venisse distrutta, sicuramente una personalità benvoluta dai suoi compaesani. Sua era la responsabilità della reliquia e, anche ora che è al sicuro al Borghetto, continua a prendersene cura e ad assicurarsi che sia sempre in buon ordine. Si vocifera che persino il Duca Pandolfi, che si sa non è che sia proprio uno stinco di santo, non osi contraddirlo e che sia l'unico a cui veramente dia retta. Pare inoltre sia suo il compito di intermediare le necessità dei Civitesi con gli Spagnoli di stanza sul confine, da quando il terremoto li ha costretti ad alloggiare al Borghetto. Cosa dire di quest'uomo insomma, sicuramente un retto e uno spirito giusto. Eppure per chiunque sarebbe impossibile non notarne una qual certa ambizione nello sguardo.
Ehi ma l’hai vista Agata? Massì quella che da bambina stava qui a Borghetto, ma poi è andata a Civita… no no non la figlia della Peppina, l’altra, quella con i capelli luccicanti sempre tenuti in ordine e lo sguardo malizioso… No ma vedi che non hai capito, Agata è quella a cui piacciono i bei vestiti, le cene galanti, quella che sa sempre come agghindarsi... eh eh brava brava, quella che ronza sempre intorno alle alte cariche del paese, quasi cercasse solo il momento giusto per mettersi in mostra. Ma no guarda che fa la locandiera da Gerardo ora, pensa che prima del terremoto possedeva un'intera tarverna a Civita. No ma cosa dici mai, che sciocca che sei, va bene tutto ma quello non lo farebbe mai, è un po’ strana, ma non è una cattiva ragazza, anche se pure io ho notato le sue inusuali compagnie...
Quando Augusta andò in sposa al vecchio Antonio, artista, pittore e ritrattista al servizio del Duca Pandolfi, tutti pensarono che c’aveva fatto un grande affare. Certo lui era due volte più vecchio di lei e neanche tanto di buon carattere, ma se l’era presa senza dote e senza corredo, che la famiglia di lei manco gli occhi per piangere teneva, e l’aveva portata a vivere in mezzo agli agi e alla gente perbene. Si dice che più lui si faceva vecchio, con gli occhi che ci vedevano meno e le mani che un poco tremavano, più lei doveva aiutarlo nella sua arte. Pare che verso la fine quei quadri avevano ben poco del tocco di Antonio, che pure sempre li firmava. Che disgrazia che lui sia morto nel terremoto. Nessuno ha ben capito perché Augusta sia rimasta al Borghetto, invece di seguire il resto dei suoi parenti che sono andati nei paesi vicini. La si vede correre in giro, appresso al Duca, o Tecla, o a chiunque abbia un po' di soldi e la stia un po' a sentire, con le braccia colme di disegni, a vantare la propria arte. Come se fosse qualcosa di cui una come lei potesse campare.
Una volta, quando era ragazzina, la mamma di Onorata l’aveva portata in visita all’Abbazia di Farfa, a trovare una cugina che si era fatta novizia. Lei aveva visto le mura alte come quelle di un palazzo, la chiesa affrescata e le sorelle che cantavano il Te Deum come fossero angeli. Era tornata al paese e aveva raccontato a tutti che da grande si sarebbe fatta suora pure lei. Sembrava un capriccio, ma non le era mai passato. Ogni volta che poteva si faceva accompagnare al santuario della Madonna delle Grotti, sempre la prima pronta ad aiutare in Chiesa, sempre davanti in processione. E una volta grande, quando un giovane le cominciava a fare la corte, rispondeva che il suo cuore appartiene solo a Gesù nostro Signore. Però neanche si decideva a partire. Prima era troppo giovane, poi la madre malata aveva bisogno d'aiuto, sempre una scusa. Alla fine Padre Nazareno se l'è presa come perpetua. Magari la visita della Madre Superiora Donata potrebbe portarle consiglio e farle finalmente prendere una decisione.
Chi è che sbraita così fragorosamente di prima mattina!? Ma è quello scansafatiche di Isidoro, ovviamente. Sciagurato, che si sciacquasse la bocca con il sapone invece di riempirsela di lamentele incessanti verso chiunque e qualunque cosa! C'è da dire che l'unico motivo per cui lo si sopporta ancora è la pietà che i suoi concittadini provano per lui: da ebbro un sacco di volte ha raccontato di quanto fosse uno dei più capaci pastori dei tratturi, ma non si capisce come, tempo addietro, gli siano sparite tutte le pecore del padrone. Lui sostiene siano stati i briganti, altri dicono che si è semplicemente addormentato una volta di troppo. Altri ancora che fosse egli stesso un brigante e che si sia inventato tutto per nascondere la sua stessa malefatta. Comunque sia la vita gioca brutti scherzi e ora è senza lavoro e senza moglie, si è ritrovato senza un soldo e con una sposa che ha semplicemente deciso di andarsene assieme al figlioletto. Oh beh, non avrà un soldo, ma trova sempre il modo per ripagare del vino buono, o semplicemente del vino e basta.
Si dice che questo frate vagabondo in passato abbia tenuto testa a signori e malfattori con la sua pia umiltà e limpido ragionare. Si dice anche che un tempo fosse un alto prelato e che oggi abbia abbandonato tutti gli sfarzi e gli onori del suo ruolo. Voci malevoli lo vorrebbero addirittura aguzzino di eretici e, che a furia di far pentire gli altri, si sia pentito alla fine pure lui. Arrivò a Civita solo qualche tempo prima del terremoto e, quali che siano le dicerie, è ormai risaputo che se hai un problema con malelingue, ingiurie e accuse, anche serie, ti puoi rivogere a lui. Con un sorriso luminoso e per un piatto di zuppa ti aiuterà a risolvere il problema. Vuoi una lettera scritta bene? Chiedi a Fra Nicola e lui ti scriverà un carteggio degno dell'Alighieri.
Ripete spesso - e questo gli ha portato non pochi scorni con Padre Nazareno - che la fede è una fiamma che può divampare solo se alimentata dal dubbio e che la fede senza ragione è solo abitudine. Da queste parti abbiamo però ben imparato ad allontanarci quando attacca con queste filippiche, che qui siamo tutta brava gente timorata e non vogliamo certo impelagarci in certi discorsi poco cristiani.
Un vecchio ronzino magro schiocca gli zoccoli sul selciato, un ferro mancante rende il suono sincopato. un uomo, con vecchi armamenti, occhio vispo e schiena dritta procede in groppa. È Goffredo, cavaliere del lago di Posta Fibreno. Mai titolo fu più azzeccato, un feudo inesistenete per un titolo campato in aria, ma per lui nobiltà di sangue non vuol dire coraggio e onore non vuol dire giustizia. Insensibile al denaro, estremamente loquace, infervorato nello sproloquio sull'onore prima di tutto. Si racconta che mai si battè per tornaconto, né per danaro, ma solo per difender onore e cause nobili, che i più definiscono perse. Per lui le sfide non possono che seguir le regole del galateo cavalleresco. Dopo uno scontro non sarebbe strano sentirlo pronunciare parole del tipo: "il vile marrano gettò sabbie nei nostri oculi, ma la vittoria è stata inesorabile anche da ciechi". Dice di essere il discendente di un Crociato che tra i primi assaltò le mura di Gerusalemme, ma a guardarlo, così coperto di stracci e vecchi armamenti, certo non si direbbe.
Costanza è la sorella di Gerardo e Salvatore ed è una personalità ben nota a chiunque al Borghetto. Suo è il compito di gestire le cucine della taverna del Bottaro e non è raro sentirle gridare il nome di uno dei due fratelli da dietro il bancone, accompagnando gli strilli con espressioni del tipo "sciagurato" o "ubriacone scansafatiche". Eppure tutti sanno che ha buon cuore e, nonostante il suo predicare, fa sempre credito a chi elemosina qualcosa da mangiare, che la fame non si augura mai a nessuno, neanche al tuo peggior nemico.
Non puoi non aver sentito parlare di lei, in tutta la valle chiunque la conosce. Non c'è occasione di festa in cui lei non sia presente. Dicono che Maddalena, fin da bambina, ha sempre ballato. Bastava che sentisse qualcuno canticchiare una melodia e già le sue gambe si muovevano a ritmo. Oggi è lei a condurre le danze e, anche in quella che potrebbe sembrare una massa confusionaria di gente che si muove a tempo, non c'è un passo che lei non abbia previsto o dettato. Fate attenzione a tenervi buona Maddalena perché, se in una festa c'è quel bel ragazzo o quell'incantevole dama con cui vi piacerebbe tanto ballare, è a lei che vi dovete rivolgere. E solo se Maddalena vuole il vostro bene, potrete allora essere certi che, prima della fine della festa, avrete avuto l'occasione di ballarci assieme.
Solitamente lo si vede arrivare in paese col suo cappello di paglia, il sottile bastone che usa per condurre le pecore e la tammorra sotto braccio. Prima del terremoto potevi sentire i bambini gridare il suo nome felici, che sapevano che se Giano aveva lasciato le greggi ai pascoli per scendere in paese, voleva dire che iniziavano i giorni di festa, che il lavoro nei campi si prendeva una pausa e presto ci sarebbero stati musica e cibo in abbondanza. Quest'anno non ci saranno bambini a salutarlo, che la devastazione del terremoto ha costretto le famiglie ad allontanarli. Ma Giano comunque arriverà per il matrimonio e per la processione a portare la sua gioia. Sperando di riuscire, almeno in parte, di alleviare quei cuori appesantiti dalla recente tragedia.
Com'è giovane Lavinia, eppure tutti già le portano rispetto come se fosse una delle anziane comari del paese, che con la sua voce pacata sa risolvere tutte le dispute e con le sue mani gentili cura tutti i mali. Già da ragazzina era solita andare nei boschi con sua madre, per giorni, senza paura delle bestie selvatiche e dei briganti. Poi s’era innamorata di un bel cacciatore che veniva da Civita, s’erano sposati nel giorno della festa della Madonna delle Grotti, che Lavinia e la sua famiglia erano stati sempre tanto devoti. Lei e il marito erano soliti addentrarsi nei boschi, fin su, sulle montagne, dove pochi usavano andare, e riportavano al paese ogni sorta di dono di Dio, cacciagione e funghi, erbe curative e frutta selvatica. Adesso Lavinia è rimasta sola, ha perso il suo bel marito nel terremoto. Dopo il funerale lei è scomparsa per tre giorni nei suoi boschi e poi è tornata in paese, con lo sguardo sereno, e ha cominciato ad aiutare chi aveva bisogno. Quelli che erano rimasti della sua famiglia sono andati via, ma Lavinia ha detto che questa era casa sua e che non l’avrebbe mai lasciata.
C'è chi dice di averlo visto al Borghetto di quando in quando, passare alla taverna di Gerardo e magari farsi due chiacchiere con la gente del posto. Dai racconti che se ne fanno, sembrerebbe essere una persona pacata e gentile, sempre disposta al sorriso e mai una volta che abbia creato problemi. Molti giurerebbero che certo uno così mai e poi mai potrebbe essere un brigante. Eppure, chissà per quale misterioso motivo, è invece da sempre con la banda del Pezzola. Nessuno sa da quanto tempo se la faccia con quei farabutti. Alcuni sostengono addirittura che ne faccia parte da ancora prima che il nome Pezzola diventasse conosciuto. Se chiedete a lui, darà per risposta un gesto vago con la mano. Come a indicare una quantità di tempo non misurabile, come a dire che è passato talmente tanto tempo che neanche lui se ne ricorda più.
Salvatore è il fratello di Costanza e Gerardo. Come tutta la famiglia, anche lui lavora alla taverna di Borghetto, svolgendo il compito di tuttofare e di aggiustacose. Salvatore è una brava persona, questo si dice. Uno amato da chiunque al paese. Che i suoi metodi sono bonari e sempre sorride, pure quando la sorella e la cognata gli strillano contro per qualche guaio che ha combinato. Tutti ci vogliono bene a Salvatore. Forse per questo, il fatto che una volta lo abbiano visto litigare furiosamente con quel taccagno di Prospero, è subito diventato un fatto noto a chiunque. Ma a quanto pare nessuno sa perché litigarono né lui, se interrogato direttamente, dice che ci sia mai stato un problema col frantoiano. D'altronde, se conosci Salvatore, sai che lui è così. La vita è troppo bella per farsi fregare dai problemi. E se anche stai arrabbiato e ce l'hai su con tutti, Salvatore ti fa un sorriso, pacato, sereno, e già il mondo sembra un posto migliore.
Va e viene Berardo, a volte sparisce per ore, a volte per giorni. Ma alla fine torna sempre e porta notizie di quello che vi aspetta. Come fosse un lupo a caccia, è sempre un passo avanti, sempre con gli occhi puntati all’orizzonte. Ovunque andiate sembra conoscere già quei sentieri, quei boschi e quelle genti. Come se il viaggio stesso fosse la sua terra natia e ogni nuova persona incontrata un suo compaesano di vecchia data. Molti si chiedono dove mai il Battistella l’avrà raccattato, quest’uomo taciturno e dal sorriso beffardo, e perché si fidi così tanto di lui. Ma se Battistella si fida ci sarà un buon motivo e, in effetti, mai i suoi consigli vi hanno tradito, mai vi ha indicato la strada sbagliata.
Silvano vien dal bosco. Così si dice al campo spagnoli. Anni or sono, quando Escrivà giunse in queste lande, così come un fulmine comparse alla sua porta questo pastore, che però sapeva leggere e scrivere, anche in spagnolo e latino, e che sembrava conoscere tutti eppure nessuno. Qualcuno immaginò fosse figlio illegittimo di un prete, oppure un orfano istruito o qualcuno scappato al suo destino da precettore per la nobiltà napoletana. Nessuno poi capì quale fosse la sua professione: un poeta girovago, forse, un letterato squattrinato, più improbabile, ma sicuramente un tipo strano. Eppure, si conquistò la fiducia del capitano, mostrando fedeltà e precisione, e Escrivà lo assunse come scrivano e segretario di campo: non certo un consigliere privato, meno che mai un soldato. Dicono ne sappia tante e che, se c’è qualcosa da sapere, può essere una ricca fonte di informazioni: che poi siano vere o false, sta all’ascoltatore discernere. Spesso corre in paese, quando non deve compiere i suoi doveri, per ascoltare le novità e farsi qualche bevuta, sempre in cerca di nuove voci e notizie. Viene dal bosco eppure è di paese, Silvano, dalle selve, giunge a fare lo scrivano. Chissà se questa descrizione è veritiera. Ma dopotutto, probabilmente, l’ha messa in giro lui stesso, così, per gioco. E non è un caso che queste stesse parole vengano dalla sua stessa penna.
A Civita si dice che Santina è rimasta zitella perché passa così tanto tempo a impicciarsi degli affari altrui che non ha il tempo di occuparsi dei fatti propri. Cosa che effettivamente è una gran verità che, in certi rari momenti di onestà ispirati da un buon vinello, anche Santina ha confermato. Fatto sta che poi tutti vanno da lei a chiederle cose, perché lei sa i fatti di tutti e le storie di ognuno. Non solo di Civita, ma anche del Borghetto, dove, prima del terremoto, viveva suo fratello con la moglie Lavinia. Il fratello poverello è rimasto sotto le macerie, e Santina è venuta con gli altri Civitesi. Durante quei primi giorni si è fatta in quattro per aiutare, per poi finalmente tornare a dedicarsi alla sua attività preferita, cioè farsi i fatti degli altri. Se vuoi sapere qualcosa di qualcuno del paese, che il paese sia Civita, Borghetto o anche Borbona, vai da Santina e lei sicuramente ti saprà rispondere.
Faccia d'angelo e parlantina sciolta, in ogni paesello in cui passa Benvenuta, si sa che farci amicizia è cosa scontata e garantita. Con passo leggero la si può vedere girovagare dalle strade più battute ai sentieri meglio celati in cui perdersi è facile, ogni volta sempre a caccia di nuove persone con cui fare qualche chiacchiera trasportata dal vento e dall'entusiasmo. Il sorriso non le manca mai, così emotivo e canzonatorio. Fa capolino come la luna al tramonto. Chi l'ha conosciuta dice che è sfuggente, che sa leggere un volto sconosciuto come un libro aperto, ma anche che sia capace di sparire con la stessa rapidità con cui è arrivata. Non si sa nemmeno se sia di queste zone oppure no, tanto di questi tempi c'è sempre così tanta gente in giro... Buon Dio, questa viandante curiosa e ciarliera sembra non fermarsi mai.
Il padre voleva chiamarlo Enrique, l'aveva sentito nella guarnigione spagnola, era il nome di un guerriero, ma sai come vanno queste cose nei paesini e ci si accontenta di Enrichetto e fa lo sguattero. "Sbrigati Richè..." Animo semplice, occhio limpido e cuore forte. Tutti a Civita hanno affidato qualche commissione a Enrichetto, tutti lo hanno visto sfrecciare nelle più disparate mansioni a destra e a manca per qualcuno per sbarcare il lunario. Non è raro vederlo, tra un lavoretto e l'altro, riposare sotto qualche albero o alla taverna insieme a qualcuno per farsi grasse risate "...se ti serve un lavoretto, versa un'altro goccetto, che poi ci pensa 'Richetto..." , dice che una risata ti rende la giornata più facile. Dopo il terremoto sembra ancora più indaffarato. I civitesi, soprattutto i più danarosi, sembrano averlo preso a ben volere e gli affidano mille mansioni e uffici. "...come vossignoria comanda!" risponde sempre lui.
Tutti tra Borghetto e Civita conoscevano Marietta, la figlia del boscaiolo. Viveva con la sua famiglia in una casa lungo il confine, che nessuno ha mai capito se fosse sotto il controllo del Papa o del Re di Spagna. Spesso si recava al Borghetto per fare piccoli lavori. Col tempo si è resa utile soprattutto aiutando Teresa: quando una delle sue pecore richiede qualche cura, lei è sempre stata pronta ad accudire l'animale e lo ha sempre fatto con innata bravura, tanto che altri sono venuti a chiederle aiuto per curare i loro animali e, di recente, qualcuno anche per consigli su come curare i propri acciacchi. Marietta non s'è mai tirata indietro e ha sempre aiutato dove poteva. Certo è che il terremoto non fu clemente con lei, tanto da strapparle gli affetti più cari. Rimasta orfana, tutti le dissero di andare a L'Aquila, dal fratello della madre. In fondo, che mai avrebbe potuto fare una ragazzina sola in queste valli? Ma lei s'era impuntata, questa era casa sua e da qui non si sarebbe mossa.