Quando penso al mio Avo mi viene in mente il primo e unico ricordo di me a sei anni a Swinton. Dovevamo essere in visita a casa Davis. Aleggiava nell’aria un profumo di incenso e di tempere. Matite, carboncini e pennelli spuntavano da ogni dove nella stanza: da una tazza laggiù, da un vaso di là, da un barattolo vicino alla finestra. C’era poi un cavalletto che reggeva un foglio. Era enorme, ma forse così mi pareva per via della mia piccola statura. Un disegno in bianco e nero ritraeva una bambola di pezza, aggraziata nelle fattezze, vestita da sposa.
“Ti piace? L’ha disegnata Pseudo. Il tuo Avo! Il suo talento è riconosciuto in tutta Swinton. E oltre confine.”
Ricordo questa frase, ma non chi la pronunciò. Ed è un vero peccato perché vorrei ringraziare colui o colei che seppe farmi scoprire cosa fosse l’orgoglio! Il mio petto si gonfiò e una vampata di calore invase il mio volto.
Compresi che discendevo da sangue colmo di talento. E questo in qualche modo mi segnò.
Quel che conosco oggi del mio Avo è un collage di tracce, di indizi e di memorie che nel tempo ho collezionato qua e là, ma lontano da Swinton, perché lì non tornai più.
Scriveva e disegnava. Sulle opere finite si firmava Pseudo. Lo stesso nomignolo con cui lo appellavano i suoi concittadini. E di questo soffriva, perché quel soprannome era come non averlo. Ma andiamo in ordine.
I suoi racconti e le sue illustrazioni inebriavano tutti perché sapevano narrare storie sognanti, magiche e affascinanti.
Pare che l’ispirazione la trovasse negli occhi delle persone che incontrava. Fissava le scarpe di chi attirava la sua curiosità, e poi passava agli specchi dell’anima. E lì stava con lo sguardo incollato, senza curarsi se la sua insistenza causava disagio. Arrivata la folgorazione, abbracciava la sua momentanea musa e tornava a casa con quel bottino invisibile che solo chi possiede l’arte sa stimare. Si metteva a dormire e attraverso i sogni impastava tutti gli ingredienti raccolti in giornata. Al risveglio si catapultava tra i suoi strumenti. Che fosse una penna, un carboncino o un pennello si metteva all’opera riconsegnando al mondo ciò che aveva rubato il dì precedente.
E in giro per il mondo in effetti spediva le sue opere. Erano richieste da molti editori, e grazie a ciò viveva agiatamente. Tuttavia non c’era mai piena soddisfazione, perché in cuor suo sapeva che il suo successo dipendeva dagli altri. Inoltre, le sue pubblicazioni avvennero sotto moltissimi nomi differenti, perché Pseudo non convinceva mai nessuno.
“La mia fama esiste perché racconto le storie di altri sotto altrettanti altri nomi. Dove sono io? Chi sono io?”
Questa è la frase scritta sul retro di un vecchio libro che mia madre conserva gelosamente come uno dei pochi cimeli presi a Swinton.
Apparteneva sicuramente a Pseudo.
Qualcuno mi raccontò che Ottobre era il mese più complicato dell’anno perché piovevano in casa Davis continue richieste di stampatori di diverse città che reclamavano nuove tavole e nuovi racconti del mio Avo. E Pseudo andava in crisi perché la fretta non era mai buona consigliera.
Doveva scegliere con cura cosa inviare, a chi e sotto quale nome, perché Pseudo voleva una svolta decisiva, anche a costo di andare via da Swinton.
Se ce l’abbia fatta, davvero non ne ho la più pallida idea. Quando sarò a Swinton spero di scoprirne di più.
[Ispirato a Tim Burton]
Se voleste ascoltare i discorsi che si fanno dall’altra parte del mondo, non dovreste fare altro che poggiare un orecchio ad un albero (quercia, sambuco o melo, in base alle vostre esigenze, chiaramente) e iniziare a stringerlo finchè le vibrazioni della pianta e le vostre non diventino una cosa sola.
A questo punto, se vi capita di sentire delle voci farsi eco dentro di voi, state pur certi che siete riusciti ad entrare in contatto con qualcuno da qualche parte del mondo.
Se non mi avete capito potete prendere come esempio la famiglia Davis.
Se voleste vedere il vostro futuro, non dovreste fare altro che trovare un grosso portone antico e di legno spesso, prendere una lanterna ad olio accesa almeno un quarto d’ora prima del tramonto, illuminare per tre volte il foro della serratura e poi sbirciare dentro, canticchiando la filastrocca della “notte che sogna”.
Non la conoscete? I Davis la intoneranno volentieri per voi.
Se, invece, aveste il timore che la ragazza che vi piace si invaghisca di Brad (si, quel Brad: moro, bello, occhi verdi…), non dovreste far altro che raccogliere una mela dalla buccia dorata, una farfalla rossa e due ciuffi di erba del mattino, andare al fiume e fare un infuso con gli ingredienti presi, offrirlo a Brad… e poi prendergli la testa e sbattergliela ripetutamente contro i sassi del fiume. Quella ragazza non si invaghirà mai di Brad.
Ecco, forse questo i Davis non lo farebbero mai, ma costoro sono imprevedibili come le onde in tempesta ed è bene non sottovalutarli mai.
Ogni Davis ha il suo modo di vedere il mondo, e state pur tranquilli che non è sicuramente il modo in cui lo vedete voi. Sono tanto affascinanti quanto inquietanti. Ma se ti avvicini a loro con rispetto ti racconteranno le loro fantastiche storie, che dicono di aver collezionato da ogni parte del mondo.
A Swinton tutti hanno contemporaneamente rispetto e timore dei Davis. Tutti, tranne i Gomes. L’amicizia tra le loro famiglie è più che solida da diverse generazioni: è risaputo che l’ottimismo dei Gomes esiste grazie a ciò che i Davis hanno fatto per loro.
Questa famiglia ricca di personalità eccentriche vive la vita un quarto di realtà alla volta, e ognuna di loro è persa nei propri assoluti. Ma anche i Davis sono fatti di carne, di interessi e di divertimenti, e a farne le spese sono sempre e solo i Collins. Quando i Davis si ritrovano tutti assieme pensano sempre un modo diverso e originale per portare scompiglio nella vita di questi malcapitati, che sia tramite la lettura delle rune, un giro di tarocchi sbagliato oppure con un sussurro nei loro sogni. Piccole scaramucce, niente di grave per il momento. Perché lo fanno? Beh, sono i tarocchi di casa a suggerire queste dispettose attenzioni verso i Collins. Così si mormora in giro e così si aggiunge mistero su una casa già bizzarra di suo.
Se c’è un sentimento che nemmeno i loro oracoli sanno decifrare, invece, è quello nascosto nelle occhiatacce che gli Everglot riservano a tutti i Davis.
Sono imperscrutabili. Quando vengono girate le sibille per gettare un occhio sul loro conto, la prima non dà mai nessuna risposta e la lettura diviene distorta. E questa cosa ai Davis non va proprio giù.
Chi pensa che siano soltanto fuori di testa sbaglia di grosso. Lo sanno di essere i più “strani” di tutta Swinton, ma ciò non impedisce loro di essere validi alleati quando gli alterchi tra famiglie si accendono come improvvisi fuochi d’estate.
I Van Dort, la famiglia più potente della vallata, è quella che più di tutte gode del favore dei Davis, pronti a riceverli in casa con salamelecchi e inchini.
“Gentili e ben educati” direbbero tutti all’inizio. “Leccaculo!” sarebbe invece l’epiteto che alla fine spontaneamente verrebbe da gridare.
Ci sono poi quelle menti creative ed estrose che passano il tempo a riflettere su cosa inventare e come farlo. C’è chi declama una poesia, e chi disegna con il carbone. Che siano bravi e talentuosi per davvero, questa è tutt’altra storia.
Loro ci credono, e questo è quel che basta per appartenere a questo gruppo, capace di prendere i propri rischi. Che poi sappiano superarli senza danni, beh, anche questa è tutt’altra storia.
Giallo e arancione sono le sfumature che amano sfoggiare per distinguersi dagli altri durante il Palio annuale, perché sono i colori più appariscenti e quindi, per loro, i più importanti.