“Sai perché io e te siamo stonati? Perché discendiamo da Campana! Ahahah!”
“Papà, smettila di scherzare sulle mie discutibili qualità canore e parlami del mio Avo. Ho vaghissimi ricordi e so troppo poco. Tra una manciata di giorni dovrò tornare a Swinton per quella faccenda importante…”
“Le lacrime dei Maitland hanno innaffiato un girasole che sa alzare il capo e sorridere al cielo! Campana… la nota stonata di tutta la famiglia Maitland. Cosa posso aggiungere a questa descrizione… Era sopra le righe, la sua risata risuonava in tutta la casa, interrompendo il lamento di qualche altro familiare, e ai funerali indossava abiti inappropriati. A dir la verità pareva che fosse sempre fuori luogo per le sue azzardate velleità di “alta moda”, come solitamente amava definire i suoi outfit”.
“Papà, quindi Campana sapeva progettare abiti? E li cuciva?”
“Beh, diciamo che credeva molto in quello che faceva. Il suo atteggiamento altezzoso - persino spocchioso - era inconfondibile quando camminava sfoggiando qualche sua nuova creazione, dall’accessorio all'abito intero. Voleva imporre nuove mode, e nessuno rimaneva indifferente davanti a cotanta audacia. Forse Parigi sarebbe stata una culla perfetta per le sue inclinazioni. Swinton era troppo piccola per contenere la sua esuberanza, in fin dei conti.
Chissà se sono solo chiacchiere, ma pare che per una sola edizione del Palio degli Inganni Campana vestì i giudici, e sul loro capo pose un cappello abbellito con frutta e fiori così freschi che api, vespe e altri orribili insetti vennero attirati da quell’abbondanza. Quei malcapitati presero a correre spaventati, lanciando frutti, petali e piccole mostruosità con troppe zampe addosso ai partecipanti. Tutti riportarono almeno una puntura da insetto… tranne Campana. E, come puoi capire, questo costò caro alla sua reputazione.”
“Ah, non cominciare con le tue solite esagerazioni! Avrà fatto uno scherzo, magari innocuo, e il passaparola l’ha trasformato in una leggenda. Forse voleva attirare l’attenzione perché in fin dei conti era la nota stonata della famiglia, ed essere la pecora nera non è mai facile.”
“Sì, hai ragione. Campana era così fuori posto che in casa Maitland si credeva fosse il risultato del famoso scambio in culla, quello che ti ho raccontato la scorsa settimana. Certo, anche quella è una leggenda riferita ai primi che arrivarono a Swinton; tuttavia Campana la conosceva bene, e son certo che non la ritenesse una semplice storiella. Quando sarai a Swinton magari scoprirai di più. Cerca negli armadi o nei cassetti e magari troverai qualche abito che oggi potrebbe essere apprezzato da Lady Gaga… forse."
[Personaggio ispirato ad Otho, dal film “Beetlejuice - Spiritello porcello” del 1988]
Tutti ricordavano i suoi occhi lucidi quando, di ritorno dall'ennesimo viaggio, rientrava in paese. Quasi non aspettava che il treno si fermasse, per saltare sul marciapiede e abbracciare tutti coloro venuti a festeggiare il suo ritorno. La prima cosa che voleva fare, sempre, era correre a casa Bloom, rivedere la sua camera, il salotto con il camino, annusare l'aria della cucina pregna di odori per il banchetto di bentornato che i Bloom erano soliti fare a chi rientrava da un viaggio. "Profumo di biscotti, odore di felicità!" sospirava allora, abbandonandosi sul sofà, abbracciando il suo amato cagnolino. E, matematicamente, il giorno dopo, quegli occhi lucidi si erano già riempiti di nuova insofferenza, di nuove vaghe aspirazioni. Il dito scorreva frenetico sul mappamondo, sulle sue carte geografiche e i suoi tomi, fedeli amici sempre pronti a nutrire quel cuore perennemente inquieto. Saudade era un soprannome che aveva ricevuto in uno dei suoi primi viaggi, ed era talmente azzeccato che, pur essendo una parola piuttosto stravagante, tutti a Swinton avevano iniziato a usarla. Perché tutti, a Swinton, si erano resi conto di una cosa: in nessun posto, in nessun luogo, Saudade avrebbe trovato pace. Non che Saudade non si scervellasse giorno e notte su questo strano sentimento presente nel suo cuore da quando avesse memoria: era consapevole che nella sua testa c’era qualcosa di incomprensibile, un bisogno di ricerca continua... ma cosa fosse il fulcro di questa ricerca non era chiaro a nessuno, nemmeno a Saudade.
Per esempio, ti racconto di quando partì per studiare gli usi e i costumi degli aborigeni amazzonici, fremente dall'emozione! Aveva preparato tutto nei minimi dettagli prima della partenza: taccuini, machete, dizionari, doni appropriati da portare a quel popolo sconosciuto. Aveva trascorso mesi nel fitto della giungla, più volte pensando con vittoria "Ah, ora sì che mi sento a casa!" Ma, trascorso un po' di tempo, una volta scoperte le loro tradizioni, ampliato il vocabolario allora conosciuto, quell'inquietudine si era rifatta viva. E il bisogno di partire si era prepotentemente reimpadronito della sua anima. Allora ripartì per Swinton, con il cuore a mille, impaziente di rivedere i suoi concittadini. "Ecco, sto tornando a casa!" ripeteva, contando i minuti che mancavano a toccare il suolo natio... ma, una volta a Swinton, quel circolo vizioso non aveva fatto altro che ripetersi.
"Cosa vuoi che sia, è il sangue Bloom" dicevano in famiglia, per consolarsi della sua perpetua assenza. Saudade ci credeva, ma fino a un certo punto, e sempre si domandava come mai non potesse assaporare la gloria come i suoi parenti. Cos'era questo formicolio nei suoi piedi, questa voglia di cercare un luogo senza nome? Allora, immancabilmente, prendeva un atlante, lo sfogliava febbrilmente, ed ecco, la prossima destinazione era lì, davanti ai suoi occhi. Lì avrebbe trovato finalmente pace!
Sai, una cosa mi ha sempre colpito: questa sua necessità diventava più pressante nel periodo natalizio. Vai te a capirne il motivo. Partiva e tornava sempre sul finire di dicembre, ma si sa che quel mese rende tutti malinconici... Però quando tornava portava con sé sempre qualche dono insolito, in particolare a Passepartout, con cui ha sempre avuto un legame speciale. Quelli per Passepartout erano doni natalizi un po' inquietanti: in realtà, sarebbero stati MOLTO più appropriati per la festa di Ognisanti... ma Passepartout sembrava stranamente felice quando li scartava per poi conservarli con molta cura e amore. Solo una volta ne perse uno, a suo dire il più speciale di tutti, talmente speciale che non aveva voluto mostrarlo a nessuno, motivo per cui era stato praticamente impossibile aiutarlo nella ricerca.
Saudade mandava anche un sacco di lettere e cartoline ai suoi concittadini, ma non le firmava mai: concludeva sempre con una frase piuttosto insolita. "Nessun posto è come casa", così scriveva. Strano davvero, per qualcuno che girovagò per il mondo in cerca di un posto in cui abitare senza mai trovarlo.
[Personaggio ispirato a Jack Skeleton, dal film “Nightmare Before Christmas” del 1993]
La Luna ruota sempre attorno alla Terra senza poter scegliere la direzione, senza potersi allontanare o avvicinare, in un'orbita celeste immutata. Allo stesso modo Luna, giorno dopo giorno in un'orbita terrestre immutata, ruotava intorno a Big Mama. Chissà, magari avrebbe preferito prendere un’altra direzione, ma sicuramente questo non faceva parte del suo carattere. Fatto sta che ogni qualvolta Big Mama chiamava, Luna scattava sull’attenti e rispondeva. “Troppo fragile per potersi occupare degli affari” dicevano i Pirelli “Non ha midollo spinale, né volontà per prendere decisioni” sostenevano tutti. Quindi l’unico compito che poteva svolgere era quello di occuparsi della famiglia e soprattutto della testa della famiglia, cioè Big Mama. Aveva fame o aveva sete? Aveva il vestito rotto? I calli agli alluci? La giornata storta? Ci avrebbe pensato Luna.
Era una persona dolce e gentile con tutti: mai una parola fuori posto, mai un atteggiamento poco corretto. Sopportare la comunità Pirelli, e soprattutto Big Mama, non era impresa certo facile, così aveva imparato ad indossare una corazza: il suo sorriso. Con quello, si dice fosse in grado di affrontare qualsiasi tempesta o maremoto. La sua presenza era talmente scontata che quasi nessuno l’apprezzava veramente, come se il suo operato fosse dovuto! Nessuno aveva compreso che Luna era l’anima cortese dei Pirelli, era quel tocco che mancava alla famiglia per essere completa, e certe volte la sua presenza non era apprezzata come avrebbe dovuto. Nonostante ciò, Luna sentiva di avere un legame profondo con la sua famiglia, tanto da non lasciare spazio ai suoi sogni, alle sue fantasie e alle sue speranze. A seguito di una feroce discussione in famiglia, nel suo diario scrisse: “Mi sento come un uccellino in gabbia, grato e devoto, ma senza libertà”.
Sembrava che solo India comprendesse questo velo di tristezza dietro alle sue espressioni gioviali, così decise che una sorpresa poteva riportare il sorriso sincero sul suo viso: "Guarda qua Luna, ho qualcosa per te: che sia l'inizio di un grande cambiamento come lo è stato per me" e allungò sul tavolo 2 biglietti del treno. "Dove mi vuoi mandare, sulla Luna?" rispose sorridendo. "No, in una terra magica, in India. Apri le tue ali e spicca il volo". "Ma sono 2 biglietti" fece notare guardando quel prezioso regalo che stringeva tra le mani "Almeno il viaggio sarà più lieto in compagnia. Trova chi abbia voglia di condividerlo con te".
Ora le mani che stringono quei due 2 vecchi biglietti sono le mie; li guardo e mi sale un groppo in gola. Sono molto logori e non si capisce se siano stati obliterati o meno. Li ho ritrovati dentro un suo scarpone e mi piace pensare che non siano gli stessi biglietti regalo di India ma che siano nuovi, che siano la speranza di un suo nuovo viaggio intorno al mondo!
[Personaggio ispirato a Sally, dal film “Nightmare Before Christmas” del 1993]
Lo sentite questo rumore di tamburi? E questa melodia che risuona nell'aria? Rilassanti, vero? Ipnotici come un bel massaggio, eseguito con arte e amore. No, non è un gruppo di artisti di strada venuto ad esibirsi al Palio. E' una vecchia registrazione di una cerimonia di guarigione eseguita da Merlin. Proprio perché tutti ritenevano che il suo spirito avesse qualcosa di magico, questo nomignolo aveva finito per appiccicarsi al suo essere, tanto che nessuno più ricordava davvero come si chiamasse. Un dolorino alla schiena che non vi faceva dormire da mesi? L’ansia di pagare un debito vi attanagliava? Lo struggimento per il vostro amore che vi aveva lasciato senza addurre motivazioni plausibili vi logorava? Ebbene: per tutti questi malanni del corpo, del portafoglio e del cuore, Merlin avrebbe avuto sicuramente un rimedio. Come un guru dello yoga paramansa iogananda, sapeva rimettervi in sesto la schiena; come il più fine degli strizzacervelli, era in grado far scomparire le vostre paure e insicurezze; come la più infallibile delle poste del cuore, poteva darvi il consiglio giusto per riconquistare la vostra dolce metà oppure per lasciarvi tutto alle spalle e cercare qualcuno che sapesse apprezzarvi davvero. Aveva sempre la soluzione per tutti, e dopo che aveva fatto quella particolare cosa, o che ti aveva bisbigliato nell’orecchio le sue parole magiche, potevi tornare a casa con un gran sorriso sulle labbra. Certo, ogni magia richiede un prezzo. Quello di Merlin era particolare. Non desiderava denaro o favori, tutto ciò che chiedeva era che tu gli donassi un oggetto che rappresentasse un ricordo felice. Ma occorreva stare attenti a ciò che si sceglieva di concedere, perché, una volta effettuato il dono, anche quella particolare memoria ad esso legata scompariva per sempre dalla mente. A suo dire, però, era comunque un buon affare scambiare un ricordo felice del passato, che non potrà tornare mai più, con un benessere tangibile nel presente. Eppure, se all'inizio gli abitanti di Swinton erano ben disposti a rinunciare a un pezzo di sé, con il tempo ci fu chi pretese di avere indietro il proprio “ricordo felice”. Nessuno saprebbe dire chi fosse. Un giorno si udì Merlin litigare con qualcuno in modo furioso e, quando tutti accorsero per vedere cosa fosse successo, trovarono il povero Merlin strozzato con dei lacci per scarpe. Nella sua bocca era stato messo un biglietto su cui era scritto: "La tua è stata solo una grande menzogna". Il colpevole di tale gesto non venne mai trovato, ma questo omicidio gettò un'ombra sinistra sulla città e sulla fama fino ad allora immacolata di Merlin. Che cosa mai avrà voluto dire l'assassino?
[Personaggio ispirato a Babbo Nachele, dal film “Nightmare Before Christmas” del 1993]
Gli uomini quando passano a miglior vita sembrano sempre così annoiati... che male c'è quindi a voler ridare loro un'espressione più serena per l'ultima volta? Non è forse un modo per onorare il loro ricordo, per dare dignità alla morte? Certo, non tutti in passato hanno apprezzato il tocco di Mascara. Una volta, ad esempio, quando tolsero il sudario per dare a Mr. Everglot l'ultimo saluto, la vedova svenne alla vista di quel clown pasticciato. Mascara si stupì: avrebbero davvero preferito vedere il grugno incupito di quel vecchiaccio, piuttosto che un rinnovato, ampissimo sorriso? Certo, aveva forse esagerato un po' con i colori, e nel trasporto il suo capolavoro si era discretamente sciolto, ma non c'era nulla di male nella sua opera! A ben ricordare, il suo amore per il trucco iniziò molto, molto indietro nel tempo. Mascara truccava le sue bambole di pezza, per renderle simili ai suoi amichetti. Beh, simili... simili a modo suo. I dettagli che aggiungeva erano sempre molto... particolari. Diceva che le truccava dando loro il volto che immaginava avessero davvero le persone. Lo faceva con gioia, non c'era nulla di male in quel suo hobby. Poi però aveva iniziato a truccare anche le statue che adornavano i giardini dei vicini, causando non poco spavento. Su consiglio di Manetta dovette smettere, per evitare guai, ma non perse mai l'interesse per il maquillage, iniziando a truccare le persone. Si sforzava di sottostare alle richieste che venivano fatte, ma che pizza... tutti volevano sempre la stessa cosa: risultare "canonicamente belli". Mai veramente unici e particolari. Che frustrazione! Ci fu un caso emblematico, quando Mascara accettò un lavoro per un matrimonio: la sposa, quel giorno, chiese specificatamente a Mascara di aiutarla ad apparire al meglio nel giorno delle sue nozze. Era una cittadina mancata da Swinton per lungo tempo, tornata in paese per sposarsi nel suo luogo del cuore, e si fidava così tanto del suo talento che non volle nemmeno osservarsi allo specchio prima di percorrere la navata: le bastava guardare la scintilla di fierezza negli occhi di Mascara per sapere di essere in quel momento assolutamente stupenda. Lo sposo tuttavia non fu dello stesso avviso, visto che scappò a gambe levate, i capelli ritti in testa e bianchi come la neve, pensando di aver condotto all'altare un cadavere. Così Mascara, alla fine, trovò il suo spazio là dove tanti non osavano mettere piede, e si inventò un lavoro assai bizzarro, per quanto necessario: ridare ai morti un'ultima ritoccatina, un tocco di vita in più prima di essere calati nella fossa. D'altronde ormai aveva capito che se la cavava benissimo nel rendere i vivi assai simili ai morti con solo qualche tocco di cipria, e forse con i morti sarebbe successo l’esatto contrario! Sai, a Mascara non è mai importato cosa dicesse la gente... quel lavoro alla fine era diventato tutta la sua vita, la sua più grande fonte d'orgoglio. Si sentiva a suo agio con la morte, tanto da desiderare che questa giungesse più spesso a Swinton, per avere più tele bianche da dipingere. Credeva fortemente nel proprio talento e sapeva che il suo stile un po' inquietante sarebbe stato prima o poi ammirato e ricercato da tutti, come una griffe d'alta moda. Conservo ancora i suoi bozzetti in soffitta, alcuni sono davvero inquietanti... li vuoi vedere?
[Personaggio ispirato a Miss Argentina, dal film "Beetlejuice - Spiritello porcello" del 1988]
E’ proprio nelle giornate di vento impetuoso che amo ricordare un tempo ormai lontano, quando ero solito passare le mie vacanze estive giocando tra le strade di Swinton. Dopo la sua morte non sono mai più tornato in quel posto, e mai come adesso sento la necessità di ricordare quel tempo che fu.
Ciarla, questo era il suo nomignolo. E non perché avesse una bella parlantina, tutt’altro, ma perché tutto il paese mormorava che ogni cosa che uscisse dalla sua bocca fosse una grossa bugia, tanto che ormai persino la sua famiglia aveva smesso di dar retta a ciò che diceva.
Aveva un laboratorio a Swinton: nessuno sapeva dove fosse esattamente, solo a me aveva concesso, una volta, il diritto di entrarci. Era pieno di cianfrusaglie, assemblate insieme in quelle che si potrebbero definire “sculture di arte moderna”. E aveva un sogno: far udire a tutti la voce del vento.
Si proprio così! Voleva che tutti potessero sentire ciò che sentivano i Collins.
Follia, pura follia.
Mi raccontò che, quando era più giovane, mostrava quelle sue invenzioni durante ogni Palio annuale, accompagnandole con altisonanti termini scientifici che altro non facevano che caricare di aspettative gli astanti. Ed ogni volta queste sue invenzioni risultavano essere fallimentari.
Il vento soffiava attraverso complicati marchingegni di tubi ed eliche uniti tra loro ma, a parte sibili e fischi, nessuna parola umana.
Adesso comprendete l’origine del suo sopranome!
Così smise di lavorare a quel suo progetto, o almeno smise di farlo in pubblico, chiudendosi sempre di più in un silenzio che molti trovarono strano, ma che la sua famiglia, vista l’onta pubblica che ogni anno era costretta a sopportare, definì come “miracoloso”.
Ma io so per certo che era ad un passo dal successo. Un giorno mi mostrò un disegno e mi raccontò una strana storia. Quello che avevo tra le mie piccole mani era sì una sua creazione, ma a differenza di tutte le altre, questa aveva sembianze umane. “Sì, nipotino mio, è proprio quello che vedi!” mi disse, e continuò: “Avevo la certezza di aver finalmente costruito la macchina perfetta, capisci? Era fornita di tutto, aveva persino una bocca, e finalmente quell’anno il vento avrebbe potuto gridare al mondo intero. Lo raccontai a tutti in Paese, e tutti in paese mi sembrarono entusiasti, curiosi di questa mia nuova invenzione… e invece...”. I suoi occhi si velarono di tristezza e si riempirono di lacrime. In una giornata di forte vento quella macchina perfetta sparì. Che avesse magicamente preso vita o, più semplicemente (con il senno di poi), fosse stata rubata, questo non è mai stato accertato. Vi lascio immaginare le conseguenze che Ciarla dovette sopportare. Tornai la sera stessa al laboratorio. Volevo rubare quel disegno, lo avrei mostrato a tutti, avrei riscattato il suo nome anche se a distanza di molti anni. Ma trovai solo cenere, l’intero laboratorio era stato distrutto dalle fiamme. Niente altro che cenere.
E adesso chi farà parlare il vento?
[Personaggio ispirato all'Inventore, dal film "Edward mani di forbice" del 1990]
Il cimitero è normalmente un posto grigio, tranquillo e silenzioso dove la morte e il rispetto la fanno da padrone. Fu lì che trovarono Atropo in fasce, all’ombra di un cipresso, sotto una lapide senza nome vicino a un vaso di rose color bianco cadaverico. Sembrava aver esalato l’ultimo respiro visto il pallore del suo viso: formiche e scarafaggi dovevano essere stati la sua unica compagnia. Tutti pensarono che fosse là da parecchi giorni visto che ormai era cadavere. Ad un tratto però un gemito provenne dalla sua bocca: una falena ne uscì, e così quella creatura riprese colore, cosa che lasciò di stucco tutti gli astanti. Molti ipotizzarono che gli insetti ne avessero avuto cura in attesa che qualcuno si prendesse la briga di spalancare le porte del suo cuore e quelle della sua casa, destino che toccò ai Van Dort. Gli anni passarono ma più Atropo cresceva e più la famiglia si pentiva della scelta fatta: nonostante la rigida educazione Van Dort, mostrava solo un atteggiamento inopportuno e un'atavica volgarità. Una balia aveva raccontato, anni dopo, che la prima parola che disse fu “CULO”. La famiglia era talmente disgustata dalla sua presenza che l’unico soprannome possibile che riuscì a trovare per quella specie di essere umano fu Atropo. Crescendo le voci sul suo conto si moltiplicarono: c’era addirittura chi credeva mangiasse insetti! Il suo comportamento poteva mettere in imbarazzo persino Pietranviso! Nessuno capiva che la sua era semplicemente una passione che aveva dalla nascita per quegli esserini che ne avevano avuto cura, sacrificando loro stessi perché la vita vincesse sulla morte. La sua attenzione era sempre rivolta a loro prima che agli umanoidi, tant’è che occorreva pronunciare il suo nome tre volte per richiamare il suo interesse. La sua unica e gradevole compagnia sembrava essere un barattolo colmo di insetti che portava sempre con sé e con il quale dialogava. Chissà, forse a quegli esseri mancava il giudizio, lasciando ad Atropo la possibilità di esprimersi come più voleva: con le sue stranezze, i suoi modi grotteschi e le sue volgarità.
“Ogni insetto ha un luogo che chiama nido e un ruolo importante nella società in cui vive: dal ragno alla formica, dall’ape alla farfalla”. È una frase che ripeteva spesso, forse per farsi coraggio, o per superare il fatto di vivere ai margini della famiglia, o addirittura per consolarsi del fatto di non sapere quale fosse la sua origine. Mi domando se Atropo abbia mai trovato il suo angolino di mondo da poter chiamare nido.
Mi auguro proprio di sì, visto che, molti anni dopo la sua morte, trovai un plico di lettere sotto il suo materasso: ognuna di queste riportava il disegno di un insetto diverso e sotto ogni disegno la medesima frase, “IO SO CHI SEI VERAMENTE ♡”
[Personaggio ispirato a Beetlejuice, dal film “Beetlejuice - Spiritello porcello” del 1988]
Ah, si, si... c'è una scatola, piena di mostrine e medaglie di sopra, da qualche parte. Non so perché le abbiano conservate, dopotutto. Mi ricordo ci fosse anche una vecchia fotografia, dove Manetta con orgoglio sfoggiava la divisa nuova, appena ricevuto il diploma... vedi se la trovi.
Ah, sai, aveva avuto da sempre la passione per combattere il crimine! Ha iniziato aiutando il fornaio a scoprire chi rubasse le torte appena sfornate poste sul davanzale a raffreddare: aveva da poco iniziato a camminare sulle sue gambe e già inseguiva i criminali. Sognava una vita piena di emozioni, di passione ed elettricità, in puro spirito Bloom. Inseguimenti, appostamenti, e tutto il resto. Sapessi i salti di gioia quando ricevette la lettera d'ammissione all'Accademia! Diploma con massimo dei voti e stretta di mano di tutta la commissione.
Stava per partire in direzione dell'alto comando della Capitale, quando beh... allo sceriffo di Swinton venne un coccolone. Duro, uno stoccafisso, a causa di una mentina andatagli di traverso. E quindi Manetta decise di restare in paese e prendere il suo posto. Ma, sai, una cittadina come Swinton non è certo teatro di grandi crimini... La sua scrivania era spesso e volentieri vuota, sempre linda e impeccabile, ma vuota. I casi, quando c'erano, erano piccoli e Manetta li risolveva con una facilità quasi beffarda. Una multa, un rimprovero, l'ennesima richiesta di scuse da parte dei Maitland per gli scherni a loro rivolti.
Poco a poco la scintilla nei suoi occhi, quel fuoco d'avventura, si affievolì. Iniziò a cercare brividi altrove, fino ad approdare nella banda degli Amici del Piedone. Diceva di volersi infiltrare per smascherarli, ma da quando ne ingrossò le fila le bricconate di quegli squinternati sembrarono riuscire ancora meglio. Se chiedevi a Manetta, però, non vi era alcun dubbio sulla buona fede dei suoi amici: tutti dei santi, dal primo all'ultimo. E intanto, gli anni passavano, e ogni anno a Manetta giungeva una medaglia per l'ottimo lavoro svolto a Swinton: primo sceriffo a non aver attuato una condanna per un anno intero, primo sceriffo senza casi da risolvere a dimostrazione dell'ordine impeccabile vigente a Swinton. Le medaglie si accumulavano sempre più dentro alla scatola, e Manetta amava sempre meno il suo ruolo, divenuto encomiabilmente noioso.
Sai, si racconta che Manetta ,nella fretta di prendere il treno dopo il diploma, non avesse rispettato la tradizione di baciare un Maitland prima di imbarcarsi nella propria avventura... Che sia stata questa la causa della sua vita piatta, iniziata con quella fatale morte che ha allontanato fortuna e gloria? Se fosse così, penso che Manetta non avrebbe più dimenticato di baciarne uno con trasporto, o magari di portarseli tutti all'altare!
[Personaggio ispirato a Ichabod Crane, dal film “Il mistero di Sleepy Hollow” del 1999]
Caramella, così si chiamava, e quella che sto per raccontarvi è la sua storia... o, almeno, ciò che io ricordo.
Si dice che non tutto il male vien per nuocere, e forse è proprio così. E anche se questa può sembrare una storia triste, so che condurrà ad un lieto finale.
E’ una storia strana quella che spinse Caramella a fare quel che fece, cambiando quelli che erano stati fino ad allora gli equilibri della grande famiglia Pirelli. Non ho mai ben compreso cosa fosse successo, né quali furono le conseguenze del suo gesto. Caramella, quando in sua presenza si toccava questo tema, cadeva in un profondo silenzio, ma tutta Swinton mormorava sul fatto che fu proprio durante un Palio del Paese che questi contrasti vennero a galla, e che a seguito delle sue azioni alcuni lo perdonarono, altri vollero vendicarsi, altri covarono solo rancore, solo pochi si schierarono dalla sua parte. Questo si diceva a Swinton, e nessuno dimenticava di aggiungere che la conseguenza di tutto ciò fu il suo spontaneo esilio in un luogo quasi fiabesco: la sua Fabbrica. Faceva ritorno a Swinton solamente durante i Palii, una volta l’anno: diceva che era un modo per mantenere viva la tradizione. Io, invece, son convinto che lo facesse per nostalgia del calore di una famiglia, perché so che nel profondo del suo cuore avrebbe voluto ricucire quei legami spezzati. So che avrebbe voluto riprendere il suo posto a tavola durante i pranzi e le cene, so che avrebbe voluto per tutti i Pirelli una vita diversa, e sono anche certo che quasi nessuno avesse veramente compreso la sua natura.
Vero è che questa fosse molto enigmatica. Sul suo conto posso dire che non avesse un carattere particolarmente aperto e socievole. Aveva sempre stampata sul viso un'espressione imperturbabile e uno sguardo freddo e impenetrabile. Sorridere non era tra le sue virtù, e la loquacità non certo il suo punto forte. Ma io lo so che aveva un gran cuore perché, nonostante ciò, aveva fondato la più grande Fabbrica di Caramelle e lo aveva fatto, a suo dire, solo per gli altri, per donare al mondo qualcosa di veramente magico e genuinamente buono. Diceva di aver inventato una particolare ricetta che donava a quelle caramelle un gusto unico e che chiunque le mangiasse poi non sarebbe stato più lo stesso. Solo quando raccontava della sua Fabbrica per un attimo la sua espressione mutava, e nei suoi occhi riuscivo a vedere una luce diversa. Era amore quello che vedevo. Adesso questa Fabbrica non esiste più, e io conservo ancora in tasca una delle sue caramelle, come fosse un antico cimelio, forse l’ultima… o, forse, chissà!
[Personaggio ispirato a Willy Wonka, dal film “La fabbrica di cioccolato” del 2005]
“L’ispirazione è come un drago: alcune volte sputa un fuoco rovente, altre invece…”
Non era difficile capire dove si trovasse nel mondo Onoff. Bastava seguire la traccia di fogli appallottolati e matite smangiucchiate che lasciava distrattamente sul suo percorso dalla casa al pozzo. Tutto il giorno. Tutti i giorni. Ci hanno provato a dire di fare attenzione, ma Onoff aveva due modalità: “Accesa” e “Spenta”. In modalità "Accesa” la scrittura rapiva tutta la sua attenzione, tanto che potevi passare con un carro sopra al suo piede che non ci sarebbe stato modo di farsi notare. Bisognava attendere che l’estro passasse, che si spegnesse e che tornasse nel mondo dei comuni mortali in modalità "Spenta". Non c’era Davis che non avesse rispetto della sua arte, anche se tutti provavano una certa compassione perché, sebbene il suo talento fosse innegabile, i suoi momenti di ispirazione duravano così poco che Onoff non riusciva mai a concludere nemmeno un racconto breve. I Pirelli ancora ricordano quando, durante una riunione di famiglia, Onoff entrò in casa loro e si sedette al tavolo senza badare troppo a chi aveva intorno. Aveva il naso incollato sulla pagina del suo taccuino e muoveva la penna con estrema agitazione. Stava scrivendo un racconto breve dal titolo “La sinfonia di Lady Blunt”, e dettava a voce alta alla sua mano ciò che questa avrebbe dovuto scrivere. Era una storia bellissima di intrighi, passioni, e la giusta dose di magia, di quelle che Big Mama adorava, tanto che lasciò tutti i presenti a bocca spalancata e occhi sgranati. E proprio sul finale, quando la protagonista stava per prendere la decisione che avrebbe cambiato la sua vita… Onoff starnutì, e tornò in modalità "Spenta"! Narra la leggenda che mai in un’unica sera si sentirono così tante imprecazioni di insoddisfazione da parte dei Pirelli come quella notte, e i due giorni successivi.
Da lì Onoff capì una cosa: più persone frequentava, più avrebbe vissuto avventure. E più avventure equivalevano a più creatività. Per questo Onoff era la spalla perfetta per compiere qualunque impresa, piccola o grande che fosse. Poteva avere un sacco di insicurezze sul suo stile di scrittura, ma una cosa era certa: se c'era da fare qualcosa, Onoff era lì allerta, pronto a scattare con precisione militare. Ora che ci penso, però, riaprendo il baule con tutte le cose che ho ereditato da Onoff mi viene un dubbio: che fine ha fatto il manoscritto de “La sinfonia di Lady Blunt”?
[Personaggio ispirato a Norther Winslow, dal film “Big Fish - Le storie di una vita incredibile” del 2003]
Aveva gli occhi trasparenti come il cristallo, limpidi come l'acqua più pura, tersi come il cielo in primavera: bastava un suo sguardo per riportare la pace in famiglia, e forse per questo tutti gli Everglot vedevano nella sua persona un punto di riferimento imprescindibile. Possiamo dire che il ruolo di capofamiglia non l'avesse mai voluto, ma che fosse stata una scelta naturale attribuirglielo. Un'imposizione che aveva accolto di buon grado, nel suo cuore così grande. La bontà di Cristallo era così immensa che, con il tempo, chiunque a Swinton avesse bisogno di conforto cercava alla fine rifugio nei suoi occhi e nelle sue parole. Ma, come tutte le schegge di quarzo, anche in Cristallo albergavano molte vene diverse: dubbio, timore, speranza; strade che sapeva percorrere al momento giusto, mantenendo all'apparenza la forza di una roccia, così impassibile. Quando prendeva una decisione potevi giurare che, sebbene in silenzio, avesse valutato tutte le opzioni esistenti, scegliendone una con grande saggezza; le sue decisioni infatti erano definitive, sempre, e Cristallo non tornava mai sui propri passi. Come quella volta in cui la tanto cara famiglia Pirelli coinvolse Cristallo, suo malgrado, in una truffa (o burla, o goliardata, come la chiamano ancora loro) sfuggita a tutti di mano per aver mal calcolato rischi e benefici. I Pirelli se la stavano per vedere davvero, davvero brutta. Ma Cristallo, di fronte al giudice, decise di prendersene interamente la colpa, scagionandoli all'istante. Tutti sapevano che Cristallo, pur potendone uscire senza macchia, aveva mentito per salvare dei cari amici, ma la fermezza granitica del suo volto non lasciò altra scelta che la condanna, nonostante i suoi occhi, incapaci di mentire, gridassero la sua innocenza. Non tutte le decisioni corrette però sono facili da prendere, e talvolta il bene risiede anche nello scegliere il male minore per tutti. Forse è per questo che Cristallo non ha mai inseguito l'amore, campo in cui è così difficile capire come bilanciare il proprio bene e quello della persona amata. Come si può prendere la decisione giusta, se questa ferisce chi ci sta a cuore? E se questa decisione ferisce noi stessi, invece, come si fa? No, l'amore era materia troppo spinosa da dipanare in modo oggettivo, e Cristallo non avrebbe mai corso il rischio di tramutarsi in una scheggia tagliente per qualcuno. Eppure nessuno più di Cristallo, con il suo cuore grande come il mondo, avrebbe meritato di essere amato nel modo più sincero... amato di un amore in cui anche un cristallo abbagliante potesse specchiarsi e sentirsi al sicuro.
[Personaggio ispirato a Karl, dal film “Big Fish - Le storie di una vita incredibile” del 2003]
Narravano sul suo conto cugini, zie e vari parenti (insomma, la famiglia Collins) che un giorno trovarono un grande fagotto fuori dalla porta, proprio in una giornata ventosa. Nessuno sapeva da dove venisse o chi lo avesse portato. Quello su cui tutti erano concordi era che quel fagotto entrò in famiglia proprio come una folata che spalanca l'uscio. La forte ventata li aveva sorpresi proprio mentre stavano cenando, e dopo aver gridato "ATTENZIONE, FOLATA!" ed essersi nascosti sotto al tavolo per la paura, i Collins non ebbero altra scelta se non quella di accogliere quella creatura nella loro famiglia, proprio come fosse sangue del loro sangue. Nessuno di loro si fece poi tante domande, convinti che il vento avesse già dato la sua risposta: Folata era ciò che a loro serviva per essere completi. Forse è proprio da qua che deriva il suo singolare nomignolo, che poi a pensarci bene tanto strano non è, almeno per un Collins. Diventò un Collins di diritto, ma Folata un Collins non era.
Forse proprio per questo non fu mai abile come gli altri nell'interpretare Monsoni e Libeccio.
Nonostante anni e anni di studi, di applicazioni pratiche e di esperienze dirette, sembrava che Folata non avesse imparato nulla. Così si affidava completamente per le sue decisioni a ciò che suggerivano gli altri, ma non proprio tutti gli altri, solo quelli che aveva a genio, quelli che erano riusciti ad afferrare le redini del suo cuore innocente, ai quali si affidava ciecamente senza mai rimbeccare nulla. Eppure con costante costanza (passatemi il gioco di parole), Folata provava ogni giorno a chiedere al vento, ma sembra che l'unica risposta che riceveva fosse una scompigliata di capelli in estate, un turbinio di foglie sul selciato in autunno, un valzer di fiocchi di neve in inverno o l'elegante agitazione del ciclamino in primavera... e nient'altro. Ed ogni volta Folata immobile osservava quello spettacolo, rimanendo lì a bocca aperta, con il naso all'insù e le sue affusolate mani lungo i fianchi. Ricordo che un giorno ero al suo fianco quando si fermò ad osservare un animato cespuglio e mi disse “Guarda e ascolta… lo vedi? Lo senti?" Ero perplesso. Sapevo quelle storie sui Collins, ma non ho mai creduto che fossero veramente vere (anche qua passatemi il gioco di parole). “Lo senti? Sta dicendo che qualcuno che mi ama mi sta pensando! E’ una vita che continua a ripetermelo, sempre, ogni giorno e a ogni ora. Questa è l’unica cosa che mi rivela… un giorno ti racconterò la mia storia”.
Quel giorno non giunse mai.
Lo ricordo ancora, come fosse ieri: una folata di vento spalancò l’uscio e quel fagotto, esattamente come era arrivato, se ne andò.
[Personaggio ispirato a Edward, dal film "Edward mani di forbice" del 1990]
Conservo pochi ricordi di quella volta in cui, in tenera età, andai a Swinton per conoscere il mio Avo. Uno di questi sono i suoi occhi curiosi e severi che si posavano su di me intenti a squadrarmi.
Non mi abbracciò, ma tastò il mio polso. “Pressione troppo alta. Un'aspirina!" esclamò. Poi mi diede di nascosto una scatola e facendomi l’occhiolino mi disse: “Una di mattina e una di sera!”.
Dopo quella volta non feci più ritorno a Swinton per un motivo o per un altro.
Sono passati diversi anni e quella scatola l’ho ritrovata pochi giorni fa, subito dopo aver ricevuto la lettera che richiedeva la mia presenza a Swinton. Le coincidenze!
Aspirina - questo era il soprannome del mio Avo - aveva esalato il suo ultimo respiro. Ho sentito dire che fu l’ultima anima a lasciare quel piccolo paese. Aveva una salute di ferro perché il suo talento era quello di saper curare non solo gli altri, ma anche il proprio corpo.
Non avevo mai aperto quella scatola - chissà perché - e quindi l’ho fatto. Tra le piccole pillole c’era un foglio. Era accartocciato così tanto che feci fatica a spiegarlo senza strapparlo. Qualcuno l’aveva nascosto lì dentro. Lo lessi e mi fu subito chiaro che tra le mani avevo una promessa scritta da Aspirina; ma qualcuno l’aveva manomessa, barrando il testo e inserendo frasi assurde, curiose e misteriose.
Di Aspirina non so praticamente niente e questo reperto ha smosso la mia curiosità. Gli ultimi giorni li ho passati a fantasticarci su.
Leggila anche tu e dimmi cosa ne pensi.
«In qualità di genio della scienza medica di Swinton io giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo i miei anni di studi e di pratica, questo giuramento e questo impegno scritto.
Ah, Aspirina! Nessuno sa dove hai imparato le tue diavolerie. Tu dici di aver fatto molte ricerche, ma quella volta in cui cercasti di far passare la febbre a quella povera sfortunata della tua vicina, facendola librare in aria legata ad un aquilone con la speranza di catturare un fulmine salvifico… ecco… quella non è ricerca. E’ follia!
Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati e mi asterrò dal recar danno e offesa.
Questa è proprio bella! Tu non sai capire i tuoi pazienti. Tu li vedi come un ammasso di ingranaggi, come pezzi di un puzzle che devono combaciare perfettamente per arrivare alla salute perfetta! Ma senza considerare l’anima, la salute perfetta non potrà mai esserci. Chissà se tu l’anima ce l’hai ancora.
Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio.
E su questo punto da te giurato anche in pubblico molti hanno diversi dubbi. Sì! Mi riferisco proprio a quel caso lì! Quello che tu ti ostini a negare! “Un’aspirina è più che sufficiente!” avevi detto prima di farla trangugiare a quel nostro compaesano un po’ raffreddato. Il giorno dopo si trovò morto e sepolto nel camposanto. Nemmeno Abra Kadabra avrebbe saputo fare di meglio. Come hai fatto a sfuggire alla rabbia della famiglia? Io lo so che la responsabilità è tutta tua. La tua espressione da innocente può incantare tutta Swinton... tranne me.
Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte.
Già, e chiunque potrebbe metterci la mano sul fuoco. Finora hai mantenuto questa promessa. “Nessun vizio e la vita sarà sana” dicevi solitamente. Eppure anche tu devi avere una debolezza… la troverò!
In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni atto libidinoso sul corpo delle donne e degli uomini, ricchi e poveri.
Ah, COMUNISTA! Lo sapevo!
Tacerò tutto ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio sulla vita degli uomini, ritenendo tali cose essere segrete.
Si mormora che tu nasconda un memoriale scritto in cui sono racchiusi tutti i gustosi peccatucci della gente di Swinton! Qualcuno potrebbe temere la sua pericolosità…
Di stimare il mio maestro di questa arte come fosse mio padre.»
Tuttavia taci quando ti si chiede di parlare del maestro, e il tuo viso diventa rosso quando si menziona tuo padre.
Queste sono le uniche occasioni in cui ti tradisci. Lo specchio della tua razionalità si crepa e fa intravedere un cuore che pulsa dolente e malinconico. Che cosa ti è successo?
[Personaggio ispirato al Dottor Finkelstein, dal film “Nightmare Before Christmas” del 1993]
Sorrideva. Sorrideva sempre. Era per questo che tutti conoscevano il mio Avo come Sorriso. Ho dei vaghi e confusi ricordi della sua persona, ma due cose mi tornano sempre alla mente: la sua bocca, con quei denti sempre messi in bella mostra, e il brivido che mi correva lungo la schiena ogni volta che li mostrava. Perché il suo non era il riso della letizia, ma il ghigno del piacere malevolo. Quando era nei paraggi, si diffondeva un'aria tesa e nervosa che si poteva quasi palpare e toccare. E quando sorrideva aveva il potere di mettere tutti a disagio, e il gelo calava in tutta la stanza. Questo perché nessuno sapeva mai cosa aspettarsi da quei suoi occhietti furbi. La sua peculiarità infatti, era escogitare scherzi e burle che il più delle volte finivano in tragedia. Si racconta che cosparse di colla le panchine del parco pubblico, facendo una strage di calzoni bucati e gonne strappate, con mezzo paese che si ritrovò ad andare in giro con le chiappe al vento. O ancora che mise un lassativo molto potente nel cibo che veniva servito alla Locanda: in molti dovettero passare alcuni giorni al sanatorio per evitare di espellere anche le budella. O che una volta indossò un costume da Morte Affamata, e durante il Palio rapì davvero un bambino lasciandolo solo nel bosco. Il ragazzino venne ritrovato soltanto qualche giorno dopo da una squadra di ricerca, lacero e assetato, e sopravvisse per miracolo. Ma lo scherzo più di cattivo gusto lo fece senz'altro il giorno di Natale. Indossando barba e pantaloni rossi andò di casa in casa, proprio come Babbo Natale, ma invece che lasciare doni li prendeva, e al loro posto lasciava zucche, per poi sparire nella notte. Il mattino dopo non vi furono pacchi da scartare, ma una miriade di zucche: Natale sembrava aver lasciato il posto ad Halloween. Dove avrà nascosto tutti quei giocattoli? E soprattutto cosa ci avrà fatto?
Quando qualcuno, prendendo coraggio, redarguiva Sorriso per i suoi atti esagerati, egli sghignazzando commentava: "Non avete senso dell'umorismo... se non sapete stare allo scherzo, non è colpa mia!" quindi si toglieva dai piedi e meditava sulla vendetta. Difficile dire se non si rendesse conto che i suoi scherzi erano davvero esagerati e di cattivo gusto o se lo facesse proprio per mettere gli altri a disagio o in imbarazzo. Mi ricordo che una volta mi tolse la sedia da sotto al sedere facendomi finire con il sedere per terra, per poi esplodere in una grassa risata. Mi rialzai piagnucolando, al che smise di ridere e fissandomi negli occhi mi disse "Io ho gli insetti nella testa. Sono loro che me lo comandano!". Giuro che vidi uscire dal suo naso un millepiedi, e degli scarafaggi e larve dalla sua bocca. Una miriade di insetti brulicava sul suo volto! Mi ritrassi indietro e chiusi gli occhi d'istinto di fronte a quella vista orripilante. Quando, ancora tremante, li riaprii, vidi che la sua faccia era perfettamente pulita e al posto degli insetti aveva sul viso un bellissimo sorriso. “Sapessi, Nipote mio, quante cose ho combinato in questo Paese... vuoi un giocattolo? Ne ho giusto uno qua in tasca per te.”
[Personaggio ispirato al Bau Bau, dal film “Nightmare Before Christmas” del 1993]
Le parola "affari" fa rima con BIG MAMA.
Non ci credete? Beh, io vi dico che è così.
Si narrano grandi cose sul suo conto, belle e brutte ovviamente, ma cosa sarebbe mai una storia se non ci fosse qualcuno a tenere tutti sulle spine?
Big Mama non era un semplice “nomignolo”, Big Mama era proprio un titolo, al pari dei titoli nobiliari. Chiunque fosse a capo della famiglia Pirelli veniva così proclamato, e da quel momento gli era concesso di fare il buono e il cattivo tempo; gli altri membri della famiglia venivano considerati alla stregua di sudditi, soprattutto Luna, che era al tempo stesso paggio e dama di compagnia, servo e schiava, avambraccio destro e mano sinistra. E, come in ogni regno che si rispetti, tutti scattavano sull’attenti all'ingresso di Big Mama. C’era chi l’odiava, chi l’ammirava, ma tutti temevano la sua ira. Mancavano solo uno scettro e una corona perché tutto fosse perfetto. Così aveva preso a cercare quel tesoro, aveva chiesto in lungo e in largo, aveva finanziato ed inviato spedizioni a Oriente e Occidente, ma nulla. Di quel tesoro non c’era traccia se non nei suoi vanesi sogni. Nonostante tutta la famiglia premesse perché abbandonasse quel delirio, Big Mama non voleva sentir ragione.
Del resto non aveva certo bisogno di consiglieri! Gli unici consigli che accettava erano quelli delle sue carte, due per la precisione: la regina di picche e la regina di cuori. Ogni qualvolta si presentava un'ardua questione non faceva altro che sedersi a capotavola, scegliere una delle due e lasciarsi influenzare da questa.
Così la regina di picche era presagio di cattivi affari, ma non solo. Per un picche diventava intollerante, capriccio e vendetta sembravano diventare il suo unico scopo. Un picche faceva tremare non solo la famiglia, ma anche il Diavolo, se mai ne fosse esistito uno!
Viceversa la Regina di Cuori era segno di buon auspicio, buoni affari, ma soprattutto era un sospiro di sollievo per tutta la famiglia che poteva godere del suo carattere solare, morevole e affettuoso.
Le carte venivano consultate più e più volte al giorno, ogniqualvolta ce ne fosse bisogno.
Big Mama e le sue carte: un legame indissolubile. C’è chi sostiene che facessero parte della sua anima. In paese si racconta che ci fu un giorno in cui quelle carte sparirono per un'intera giornata prima di essere ritrovate. Bene, quello fu un giorno di follia e perdizione per Big Mama: non c’era più luce nei suoi occhi, non più parole nella sua bocca, non c’era più un regno, né sovrani e regine. Tutti i Pirelli si resero conto che la famiglia stava per crollare e si prodigarono affannosamente nella ricerca. Perché Big Mama avrà anche avuto tanti difetti, ma altrettanti erano i suoi pregi, e soprattutto era sulla sua testa che si reggeva l’intera famiglia.
[Personaggio ispirato alla Regina di Cuori, dal film “Alice in Wonderland” del 2010]
Paziente numero 342
Età: 64
Diagnosi: Disturbo Psichiatrico Alienante
Quadro morboso: Stato depressivo
Anamnesi: Il padre e la madre sono morti, non manifestarono mai tratti psicopatici; ha alcuni fratelli vivi e sani, anche se il quadro famigliare non è perfettamente chiaro. Nella parentela tanto paterna quanto materna non si riscontrano casi di malattie mentali. Frequentò la scuola con profitto, laureandosi in medicina e psichiatria. Esercitò per molti anni la professione psichiatrica nel paese in cui viveva.
Aspetto e comportamento spontaneo: Arrivò piangendo, non voleva entrare nel reparto, fece a stento il bagno, continuava a gemere e chiamare aiuto, poi si calmò un poco, la notte dormì, mangiò a stento.
All’assunzione siede sul letto, presenta un aspetto ansioso, continua a digrignare i denti, ad invocare con voce monotona aiuto, continua insistentemente nel suo delirio alienante: parla di un pozzo magico capace di esaudire i desideri, parla di una strega che controlla il pozzo nel paese in cui viveva (n.d.a.: nome paese “Swinton”).
Sa il suo nome e cognome, età, patria e condizione, buon orientamento del luogo e del tempo, riconosce di essere qui in manicomio per guarire, ma non sa di che malattia. Ricorda di essere medico psichiatra, pensa di lavorare qui.
La notte vedeva delle ombre che non sa bene descrivere, ed aveva un continuo ronzio nelle orecchie. Ha deliri molto frequenti.
Aggiornamenti:
1/IX. È sempre in stato d’ansia, mangia pochissimo, parla poco, ma invece sottovoce prega continuamente che il “coniglio bianco” conduca tutti noi verso il pozzo.
29/IX. Non presenta alcun miglioramento del suo stato mentale, esce continuamente dal letto, accusa di sentirsi la strega sulla faringe, che impedisce di mangiare, si nutre male, dorme poco. Domanda di continuo di poter eclissarsi dal mondo.
16/III Stesso stato.
29/IV Ripete sempre le stesse frasi, in modo monotono e sempre uguale.
20/V Stesse condizioni.
23/VII Stato di demenza molto peggiorato.
24/VIII Decesso.
Ho conosciuto il mio Avo prima della sua morte, quando i manicomi chiusero e tutti i malati vennero trasferiti in ospedali più moderni. Andammo insieme, io e mio padre: ricordo i deliri, la puzza, la paura in quei piccoli occhi.
Quando viveva a Swinton esercitava la psichiatria. Forse non era una persona molto amata, forse incuteva timore, anche perché il suo soprannome era Dott. Mangiaocchi. Chissà quale cupa storia ci sia dietro questo bizzarro epiteto. Eppure, ora che ho deciso di tornare a Swinton, mi sembra che tutti i deliri sul Pozzo e sulla Strega facciano in qualche modo parte di una grande fiaba...
Chissà cosa troverò in quel posto del mio Avo, e soprattutto cosa scoprirò della sua vita prima del manicomio.
[Personaggio ispirato a Mr. Barron, dal film “Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali” del 2016]
"Albatros, si sistemi la cravatta!" "Albatros, suvvia, un po' di spirito, mi passi quel bisturi" "Albatros, ma cosa fa, santo cielo, le ho detto che le pinze si posizionano medialmente, lungo l'asse craniocaudale, non seguendo il piano longitudinale!" "Albatros, ne ha combinata un'altra delle sue?" Chiunque abbia dovuto malauguratamente recarsi allo studio medico sapeva che l'unica cosa da temere era la sbadataggine dell'assistente. Ovunque andasse inciampava in qualche costosissimo strumento, rovesciava ampolle e scambiava prescrizioni. Anche nella sua quotidianità Albatros doveva sempre fare i conti con la sua goffaggine, suscitando attorno a sé grasse risate ovunque andasse. Spesso e volentieri capitava che, in preda alla vergogna, riversasse la colpa su qualcun altro, solitamente qualche malcapitato che aveva semplicemente la sfortuna di trovarsi lì vicino. Eh sì, come diagnosticato proprio dal suo capo, Aspirina, Albatros soffriva di una lieve forma di codardia, malattia molto subdola. Questa diagnosi, scherzosamente messa nero su bianco, non andò mai giù ad Albatros, che mal sopportava le bonarie prese in giro di Aspirina, verso cui segretamente nutriva scarsa stima, finanche fastidio. E forse era proprio quella stessa codardia a rendere i suoi gesti così maldestri, impedendo ai suoi piedoni di fare, finalmente, il passo della giusta misura. Fin dall'infanzia quel timore aveva fatto sì che si rifugiasse nella compagnia di quelli più grandi, che prendeva a esempio e cercava di emulare con scarso successo, nel tentativo di poter un giorno togliersi di dosso quella goffaggine come un pesante cappotto, ma di fatto diventando facile capro espiatorio per scherzi e burle. Da quel che so ha sempre desiderato far parte di una cosa chiamata "Banda del Piedone" ma non ha mai avuto l'ardire di avvicinare uno dei suoi membri per formalizzare la richiesta. Forse meglio così, dato che quella banda non sembrava causare nulla più che un sacco di guai ovunque andasse. Questo dimostra che Albatros talvolta riusciva anche a camminare sulla retta via, a fare i passi giusti, riuscendo a ricavarsi una vita dignitosa e una professione decorosa in paese. Che io sappia però non cercò mai davvero di sdoganarsi da quel ruolo a metà fra la goffa spalla comica e il triste Pierrot, di togliersi quella maschera melodrammatica dal volto, affibbiatagli dagli altri seppur con buona ragione. Però, sai, ogni tanto mi chiedo: se potesse mai tornare indietro e se ne presentasse l'occasione, Albatros troverebbe finalmente la forza di abbracciare il coraggio? Forse, a quel punto, potrebbe aprire finalmente le sue maestose ali e librarsi nel cielo, re delle nubi.
[Personaggio ispirato agli Umpa Lumpa, dal film “La fabbrica di cioccolato” del 2005]
“Da quando hai ricevuto quella lettera di convocazione a Swinton, la tua ossessione per il tuo Avo è diventata incessante.
Quindi ho deciso di scriverti tutto quello che so riassunto in tre punti. Fattelo bastare perché non aggiungerò altro.
1) In paese si faceva chiamare Specchio. Perché, nonostante la sua curiosità venisse rapita da ogni minima distrazione, la sua attenzione per lo più si concentrava sul criticare gli altri. Bada bene, le sue parole non erano dette a vanvera, ma riflettevano la realtà dei fatti: mancanze nei modi garbati, penuria di cura personale, carenza di cultura, cattiva qualità dell’alito e altre imperfezioni non sfuggivano agli occhi e alla bocca - quando ne parlava - di Specchio.
Si sa che a nessuno piace vedere i propri difetti, ed ecco che così nacque il suo soprannome, a cui di nascosto i concittadini aggiungevano diversi complementi di specificazione. “Specchio dei rimorsi" dicevano i delusi, “Specchio dell'antipatia” i permalosi, “Specchio de li mortacci tua!” in casa Pirelli.
2) Perché si comportasse così non saprei dirtelo con precisione, ma il fatto che l’ultima posizione dei nascituri di casa Collins fosse sua influì in qualche modo sulla formazione della sua personalità. Si sa che i più piccoli di una famiglia numerosa possono essere anche i più schiacciati dagli altri parenti, e di conseguenza i più ribelli e i più curiosi alla ricerca di una via di riscatto o di fuga.
Specchio aveva buone maniere e buona cultura, ma si sentiva sempre fuori posto, soprattutto in casa. Troppo grande per appassionarsi alle faccende dei più piccoli, ma non abbastanza grande per ottenere la considerazione degli adulti.
3) Ora non ti stupirà sapere che Specchio era la pecora nera di casa Collins. Si dice che andasse in giro con abiti troppo grandi o troppo piccoli rispetto alla sua statura, come denuncia della sua condizione. Inoltre non seguiva le tradizioni della famiglia: del vento, con grande rammarico di tutti quanti, non sapeva niente.
“Non sai seguire l’aria, tuttavia le cattive compagnie ti sanno influenzare per bene! Sei debole!” Questa era una delle solite recriminazioni che riceveva in casa. Quelle parole però dicevano il vero, e anche a Specchio non piaceva vedere le sue mancanze.
Si dice infatti che frequentasse assiduamente casa Pirelli perché lì si sentiva al posto giusto. Le malelingue mormoravano che il loro non fosse un rapporto di amicizia, ma commerciale. Specialmente con India… ma di questo non dirò altro perché potrebbero essere solo illazioni. Un po’ come tutto il resto, d’altronde.
Inoltre Specchio, per non farsi mancare nulla, faceva parte di un gruppo segreto chiamato “la Banda del Piedone”. Anche in questo caso non so dirti molto di più perché su quel gruppetto ci sono tante dicerie.
Invocano le streghe! Rubano i gioielli di famiglia! Inacidiscono il latte dei loro nemici! Piangono insieme sulle loro sfortune! Queste e molte altre stranezze sentiresti narrare tra le strade di Swinton di molti anni addietro.
Tra pochi giorni sarai proprio lì e potrai camminare tra le case di quel luogo. Mi auguro che tu possa conoscere di più sul conto del tuo Avo e appagare la tua curiosità con delizioso stupore."
[Personaggio ispirato ad Alice, dal film “Alice in Wonderland” del 2010]
Quali sono gli ingredienti per essere in grado di guidare un gregge di anime verso la perfezione? Sicuramente rispetto, amorevolezza, un cuore limpido e onesto, la gentilezza e la prontezza di assistere chiunque abbia bisogno di aiuto. Ma non trovate che tutto questo sia riassumibile con una sola parola? NOIA. Sì, perché è solo quello che mi ricordo del mio avo durante i miei soggiorni a Swinton. Ogni mattina, durante la Messa, mi obbligava a fare d’assistente; come se non bastasse mi delegava le cose più insopportabili come fare la spesa, o segnare dei numeri su di un registro, scrivere lettere che mi dettava a voce, dare da mangiare alle galline, rammendare i suoi abiti clericali o, ancor peggio, i suoi calzini. Una volta domandai perché facesse fare tutte queste cose a me, ma anche chi fosse lo sfortunato che vestiva i miei panni quando io non c’ero. Mi rispose “Lo fanno altri, mia piccola pecorella, ma tu non preoccuparti che, come dice il Mio amico Sofocle, Il tempo svela tutto e lo porta alla luce. Quindi non stare lì a lamentarti e vai avanti a trascrivere quei numeri là". Aveva una frase del “suo amico Sofocle” per ogni situazione si presentasse e non sempre riuscivo a comprenderne bene il significato.
Oggi ripenso a quel periodo con malinconia, domandandomi se operasse così per proteggermi o per insegnarmi le durezze della vita. Mi sono sempre chiesto se ci fosse una qualche lezione dietro il suo atteggiamento.
Avrei comunque voluto conoscere maggiormente il suo animo, che sembrava nascondere molto più rispetto a ciò che traspariva. Avevo la netta sensazione che non si fidasse nel mostrarmi tutti i lati del suo carattere, cosa che invece non mancava di fare con i suoi concittadini. Di Santo di Ferro si diceva che avesse l’abitudine di discutere con il crocifisso, come se fosse lì a chiedere consigli a Cristo in persona, che ascoltasse volentieri le confessioni davanti ad un bel bicchiere di vino in Taverna, che avesse una dedizione per gli ultimi e che mal tollerasse i soprusi di briganti e prepotenti. A tal proposto mi torna alla mente un fatto che mi fu raccontato da una signora che aveva assistito di persona alla faccenda: era un sabato sera quando alcuni mascalzoni - chi dice siano stati tre e chi dice siano stati quattro - furono ritrovati gonfi di lividi fuori dallo studio medico, piagnucolanti e terrorizzati perché qualcuno li aveva aggrediti. “E’ successo tutto velocemente, troppo velocemente!” “Erano in mille e ci hanno picchiato!”
"-Gesù, tenetevi forte che qui sono legnate- avrebbe detto qualcuno!” “Eravamo solamente in chiesa a pregare”
“PREGARE! E poi la mano di Dio è calata pesantemente su di noi”. La signora ammiccante lasciò intendere che quei furfanti fossero entrati nella casa di Dio con intenzioni diverse dal Lodarlo. Il giorno dopo, Domenica, Santo di Ferro sfoggiava alla messa mattutina un bell’occhio livido e gonfio. E fu così che per i fedeli, pur non chiedendo niente, da quel giorno divenne Santo di Ferro e ciò fece sentire tutti un po' più protetti.
[Personaggio ispirato a Max Medici, dal film “Dumbo” del 2019]
18 Maggio
"Dovresti smetterla di agitarti per così poco. Vedrai che tutto si risolverà come sempre. Noi Gomes tramutiamo sempre la sfortuna in buona sorte."
19 Maggio
"No. Credo che tu non capisca. La situazione è davvero grave. Non credo che ne usciremo vivi"
20 Maggio mattino
"Ma sì, ti dico"
20 Maggio sera
"Ma no ti dico"
21 Maggio ore 10:00
"Smettila di agitarti e resta ottimista!"
21 Maggio ore 10:05
"Aaaaahhhhhhh!!!!! Aiutooooo!!! Moriremo tuttiiiiiiiiiiiii!!!!!!!"
Trovai l'agendina di pelle del mio Avo Gemini in soffitta. Sembrava contenere un dialogo tra due persone completamente diverse. Eppure, che ci crediate o no, la mano che ha vergato quelle righe è la stessa. A quanto pare infatti il mio Avo, non solo aveva l'abitudine di prendere appunti sulle cose che accadevano, ma dai suoi appunti emerge il fatto che avesse due personalità differenti! Questa sua caratteristica era ben conosciuta in paese: da qui l’origine del suo nomignolo, Gemini, poiché averci a che fare era come interagire con due persone differenti, a seconda dell’occasione. Se questa caratteristica singolare mi destabilizzò, ciò che lessi più avanti fece nascere in me una certa inquietudine, ma mi fece anche comprendere il perché la sua presenza a Swinton fosse benvoluta.
"Un rapimento... proprio qui a Swinton... se non troviamo dov'è il nascondiglio dei banditi che hanno compiuto questo atto scellerato il paese è condannato!"
"Suvvia... non è il caso di utilizzare questi toni melodrammatici. Piuttosto: che indizi abbiamo?"
"Soltanto una filastrocca senza senso, scritta a mano su un foglio di carta e lasciata sul luogo del rapimento: Seguite le ali di neri pensieri, cercate nel riposo dei senza nome... oddiooooo, e che vuol dire?"
"Non lo so, ma sono sicuro che lo scopriremo. Tutta Swinton conta su di me!"
La personalità bizzarra di Gemini era in realtà molto apprezzata perché era in grado di risolvere molteplici problemi. Il fatto di poter analizzare una situazione da due punti di vista diametralmente opposti, consentiva a Gemini di vedere cose che ai più sfuggivano. Ma, nonostante questo, il suo disagio per questo doppio sé che divideva la sua testa, cresceva ogni giorno di più.
"Mi hanno parlato di un dottore, uno strizzacervelli, che potrebbe aiutarci"
"Aiutarci a fare che?"
"Lo sai... mi han detto che questo medico potrebbe darci delle medicine e farci essere... normali."
"Che cosa intendi con normali?"
“Beh... come tutti... Sono stanco di dover litigare con la metà di me stesso."
"E che cosa vuoi fare quindi... sopprimermi?"
"Non ho detto questo"
"Sì, invece! Ma non ti rendi conto che, senza di me a frenare il tuo stupido ottimismo, di quanti ci sarebbero crollati addosso?!"
"E tu ti rendi conto che le tue ansie e le tue paure a volte ci impediscono di vivere?!"
"E quindi vuoi sbarazzarti di me?"
"Non ho detto questo... solo... vorrei che potessimo convivere in modo più semplice..."
Gli appunti si interrompono qui. Chissà se Gemini trovò mai un modo per conciliare le sue due metà...
[Personaggio ispirato al Sindaco, dal film “Nightmare Before Christmas” del 1993]
"Prendete un violino e posizionatevelo sotto al mento. Prendete l'archetto e date il primo colpo. Ecco che le corde iniziano a vibrare, e sembreranno toccarsi tra di loro. E a ogni ulteriore sferzata, la speranza che prima o poi arrivi il picco cresce! Per poi accorgersi che le corde tornano sempre l'una parallela all'altra, in una costante assenza di contatto tra due anime simili."
Questo era quello che amava rispondere Melò alla domanda "Ma perché il violino?". Tra una risposta secca e precisa e una tragica storia, Melò sceglieva sempre la seconda. Spesso la gente non finiva neanche di ascoltare i suoi racconti e liquidava la conversazione con un: "Tu hai il melodramma nel sangue". Fu proprio da ME-LO-DRAM-MA, che il mio Avo iniziò a rispondere al nome di Melò.
Non c'era abitante a Swinton che non conoscesse la sua arte. Laddove c'era un funerale, ecco che c'erano anche Melò e il suo violino. Perché ogni funerale Maitland degno di questo nome (e cioè tutti) portava con sé l'esecuzione tragica e magistrale di un "Concerto funebre". Ed era lì, nei funerali, che Melò trovava il suo luogo nel mondo, dove le sue tragedie e il suo amore per il dolore si univano in un'unica sinfonia di consolazione. E tra un funerale e l'altro, a Melò piaceva andare in giro con una mela sempre in tasca a consolare i suoi compaesani. Si fermava a raccontare la storia di qualcuno che stava peggio, così da sollevare a modo suo gli animi degli ascoltatori. E quando passava troppo tempo tra un morto e l'altro, Melò aveva preso per diletto a inscenarne uno finto.
Nel suo diario ho trovato questa storia.
“Una sera senza luna ero particolarmente triste, e iniziai a suonare una melodia così dolce e tragica che i rami di tutti gli alberi nei paraggi si protesero verso di me come a volermi avvolgere in un abbraccio consolatorio. All’improvviso tutto questo fu interrotto da un sommesso singhiozzare. Mi accorsi che due occhi lucidi e riconoscenti mi stavano fissando. Io lo so, erano occhi di chi non aveva mai potuto piangere in pubblico. Poi così come erano apparsi quei due occhi scomparvero e fu di nuovo buio. Ma sapevo con certezza che li avrei rivisti la notte dopo e quella dopo ancora: quegli occhi appartenevano a...”
Il racconto qua si interrompe e il nome del “proprietario di quegli occhi” è stato cancellato così tante volte da una penna dall’inchiostro rosso che non si riesce a leggere nulla. E tutti gli spartiti ritrovati nella custodia del suo strumento erano spariti. Si dice fossero stati scritti non per uno, ma per due violini. Sperava forse di incontrare qualche anima affine con cui condividere la sua passione per la musica, o qualcosa di più?
[Personaggio ispirato al Bonejangles , dal film “La sposa cadavere” del 2005]
Ogni volta che, passeggiando insieme nel bosco, mano nella mano, mi assaliva il dubbio che ci fossimo persi, Cheshire, con un tempismo miracoloso, rispondeva a quella mia muta domanda con la sua solita frase:
“Non esiste una strada giusta o una sbagliata, se non conosciamo la nostra destinazione.
Prima di chiedere indicazioni sulla via da prendere, è sempre meglio avere le idee chiare sulla meta da raggiungere.”
E, immancabilmente, ogni volta raggiungevamo la stessa meta pur percorrendo sentieri differenti.
“Vedi, caro nipote, siamo arrivati anche oggi al lago. Non è magnifico aver visto un diverso panorama venendo qua? La stessa cosa vale nella vita: uno scopo, devi sempre avere in testa uno scopo… il come raggiungerlo starà alla tua fantasia. E’ nell’enigma la soluzione stessa dell’enigma!”
Era come se riuscisse a leggere nella mia mente. Forse potrà sembrarvi che questa sia solo una casualità, posso comprendere, certo. Allora vi sfido a trovare un raziocinio alle mille altre cose che io pensavo o desideravo e che Cheshire puntualmente riusciva a prevedere e soddisfare.
Una mattina mi alzai con una gran voglia di dolce alle fragole e tè al bergamotto con una spruzzata di menta piperita, e trovai tutto pronto sul tavolo della cucina! O vogliamo parlare delle giornate di pioggia in cui mi sentivo triste, e nelle quali improvvisamente spuntava il sole?
Forse è proprio per questo che sono entrato nel club del libro, deciso a carpire i suoi segreti. Ma nonostante le mie numerose letture e ricerche non ho mai capito come potesse essere a conoscenza dei desideri e delle domande altrui, tanto da proporre la giusta soluzione per ogni problema.
Nonostante le sue intenzioni fossero delle migliori, suscitava negli altri abitanti un po' di timore, sicuramente per il fatto che aveva il vizio di apparire e scomparire dal nulla: un attimo prima non c’era e poi, nel tempo di uno schiocco di dita, era lì; oppure era lì e, in un battito di ciglia, non c’era più. Alcuni erano arrivati a pensare che fosse un essere magico, alcuni presero a dire che fosse addirittura l’aiutante della Strega del Pozzo. La maggior parte vedeva nella sua follia lo zampino del Demonio. Tutto ciò sembrava non toccare per nulla il suo animo serafico e sornione, e rispondeva a tutto quel ciarlare alle sue spalle con il suo solito ambiguo ghigno.
Portava sempre con sé una scatola chiusa con un lucchetto, e si dice l’aprisse solo in rare occasioni.
Chissà se qualcuno a Swinton abbia mai avuto il privilegio di conoscere il suo contenuto...
[Personaggio ispirato allo Stregatto, dal film “Alice in Wonderland” del 2010]
- Bro! Posa il joypad. Guarda cos'ho trovato tra le cose di Argento! E' l'unico frammento di documento che sono riuscito a trovare. Ma tu sai cos'è?
- Bro, sembra proprio un discorso di inaugurazione.
- Ma le inaugurazioni non le fa il sindaco? Argento che io sappia ha sempre ricoperto un ruolo di secondo piano, siamo sicuri che avesse questo potere?
- Ovviamente no. Ma una volta a Swinton ti dico che accadde che Argento ricevette una chiamata da Promessa: un'improvvisa influenza non permise al Primo Cittadino di presenziare alla cerimonia di apertura di un Palio. Così Argento preparò in fretta e furia un discorso. Questo discorso...
- Wow. E poi che altro è successo?
- All'ultimo momento Promessa guarì e riuscì ad adempiere ai suoi doveri. E Argento dalla rabbia strappò il discorso giurando che avrebbe fatto di tutto per ricoprire quel ruolo.
- E ce la fece?
- Stiamo parlando di Argento, Bro. Per tutta la vita ha provato a vincere qualcosa. E per quanto fosse in gamba, ogni volta l'esito era certo: secondo posto. Medaglia D'Argento. "Vice" di TUTTO. Mai ultimo o terzo posto, certo. Ma sempre e solo numero due.
- Questo perché ha sempre giocato secondo le regole.
- ...
- ...
- ...
- Bro...?
- Ecco... come dire... Argento non era proprio uno stinco di santo... Con il passare del tempo, vedendo che la sua situazione non migliorava, beh, ecco, ha iniziato a giocare un po' sporco. Da un lato sapeva dimostrarsi gentile e affabile. Addirittura leale e capace di supportare le decisioni di chi aveva intorno. Ma dall'altro le sue ambizioni di scalata sociale diventarono sempre più feroci. Sempre dandosi un certo tono, sia chiaro! In qualità di vicesindaco, il sostegno popolare era fondamentale per il raggiungimento dei suoi obiettivi politici. Quindi, trattava sempre tutti con i guanti bianchi. In più di un'occasione, però, si trovò a fare alleanze abbastanza discutibili con i Pirelli, chiudendo un occhio quando serviva, o mettendosi d'accordo con quella strana figura che a Swinton chiamavano Zefiro. Fecero un patto: c'erano di mezzo una corona e uno scettro, che a quanto pare erano in mano a qualcuno. Se a Zefiro fossero arrivati la corona e lo scettro, ad Argento sarebbero arrivati tutti i voti dei Collins e di molti altri abitanti di Swinton... Questo patto era talmente forte che Argento era in grado di sopportare qualsiasi capriccio del Capo... pure i calci in culo. Anzi, specialmente i calci in culo!
- ...E questo non poteva che voler dire avere la vittoria in tasca.
- Bingo!
- Che storia Bro. Ora capisco perché la sua vita è andata così.
- Così come?
- Così. Come sappiamo tutti che è andata.
- Eppure secondo me non è tutto lì. Hai visto la lettera della Banca?
- Mi sa che tocca tornare a Swinton per scoprire il resto.
- Che storia Bro.
- Che storia davvero...
[Personaggio ispirato a Angelique Bouchard, dal film “Dark Shadows” del 2012]
Lo so... adesso mi vedete così... con abiti un poco dimessi, ma ho una discendenza illustre.
Piuma di Corvo, il mio Avo, era nientemeno che il Capo della Famiglia Collins.
Certo, il suo nome parrebbe quello di un capo Nativo Americano, ma vi posso assicurare che dell'Apache o del Sioux, non aveva nulla.
L’origine del suo nomignolo era da attribuirsi a tutt’altro.
Aveva un certo amore per tutto ciò che c'è di macabro, a partire dalla frequentazione assidua dei cimiteri. Era sua abitudine infatti, svegliarsi al calare del sole e recarsi in quei tetri luoghi, per poi far rientro soltanto alle prime luci dell’alba. Questo suo costume era noto a tutti, ma nessuno aveva mai osato domandare il perché. Se c'era una cosa che non possedeva era il talento negli affari, e sperperava i pochi averi della famiglia in investimenti fallimentari. Aveva le mani bucate, insomma, specialmente se si trattava di affari che riguardavano le sue insane e tetre passioni: una serra di piante carnivore, una fabbrica di scope volanti, un circo di zombie e chissà cos'altro. D'altro canto compensava questo suo lato oscuro con un animo leggero e vanesio, ed era totalmente incapace di tenere a freno la sua indole frivola. Aveva il coraggio di inoltrarsi nel bosco fino alla radura della Collina Triste, un luogo dove mai nessuno si era spinto, solo per raccogliere una delle rose bianco cadavere che lì crescevano, per poi regalarla ad uno dei suoi numerosi amori, declamando versi poetici in spagnolo mentre mimava passi di tango. L’amore e la Morte sembravano essere le sue uniche passioni. La famiglia rimproverava spesso Piuma di Corvo per le sue assenze, ma la sua risposta, data mentre stringeva il suo sigaro preferito tra le labbra, era sempre e solo una: "Ben detto, ti meriti proprio una pacca sulla spalla!". Un giorno arrivò a Swinton la polizia e accusò Piuma di Corvo di aver provocato numerosi incidenti ferroviari. A conferma della sua presenza sui luoghi delittuosi sembrava essere proprio una delle rose pallide come un cadavere che tanto amava. A quanto pare era stato un bravo cittadino di Swinton a fornire quella prova. Piuma di Corvo non smentì, ma neanche confermò: in tutta risposta sfidò ad un duello di spada il comandante dei gendarmi. Ne scaturì un discreto parapiglia fino a quando un proiettile si conficcò nella sua gamba, consentendo così la sua cattura. Passò i suoi ultimi anni in galera, e quando la famiglia andò a ritirare il suo cadavere, non fu possibile trovarne traccia. Al suo posto vi era soltanto una rosa bianca.
[Personaggio ispirato a Gomez Addams, della serie tv “Mercoledì” del 2022]
Fu una gran sorpresa quando scovai in un cassetto di papà una lettera ingiallita dal tempo, ma perfettamente piegata in quattro parti.
La aprii e nell’aria si librò un leggero profumo di rose.
“Se i miei concittadini pensano di farmi un dispetto chiamandomi Mise en Place, sbagliano di grosso.
Se quei bifolchi ora sanno apparecchiare una tavola con cura ed eleganza è soltanto grazie alle mie lezioni.
Se alcuni di quegli sciamannati, quando è tempo di danzare, muovono i piedi a ritmo di tango invece di sgambettare come fenicotteri ubriachi lo devono innanzitutto a me, e alla mia pazienza nel correggere i loro sgraziati movimenti.
Io sono il Bon Ton di Swinton, l’unica speranza per differenziarci dalle bestie. E di belve questo posto è colmo”.
Quella era una lettera del mio Avo Mise en Place! Che strano nomignolo... Doveva avere un caratterino niente male. Precisione, buone maniere e stile erano leggi da seguire con dedizione in casa e in tutto il paese.
Distinguersi dagli altri per classe e lignaggio era certamente un diktat della famiglia Van Dort, e Mise en Place lo incarnava senza risparmio.
Questo attirò antipatie e invidie, come è facile intuire.
“Di giorno sarà anche la perfezione di Dio scesa in terra, ma di notte corre senza vestiti nei boschi, si accoppia con le bestie e dorme sulle tombe del cimitero” “Io ho sentito dire che negli armadi nasconde gli scheletri dei parenti morti per noia durante le sue lezioni di galateo!”.
Sono certo che queste sarebbero state le maldicenze che avrei udito ai tempi del mio Avo.
Tuttavia il suo talento era ben riconosciuto. Si dice infatti che tutti gli abitanti di Swinton ricercassero i suoi consigli quando bisognava imbandire la tavola per una festa di compleanno o per il Natale.
Ed erano guai se qualcuno osava non seguire i suoi suggerimenti! In quei rari casi, a prescindere dal risultato, Mise en Place non perdeva occasione per sottolineare con eleganza e garbo la mancanza di buongusto, e i presenti, non potendo fare altro, convenivano con sommo dispiacere.
E quando si avvicinava il tempo del Palio degli Inganni, nessun preparativo sfuggiva al suo giudizio puntuale e attento.
Tovaglie abbinate alle tende, bicchieri scintillanti, festoni appesi seguendo geometriche disposizioni erano prove che nulla veniva fatto per caso. Tuttavia la mano di Mise en Place si riconosceva per un piccolo e peculiare dettaglio: l’assenza di rose tra le varie decorazioni.
O meglio, le rose c’erano anche, ma senza il fiore rosso. Nei vasi spiccavano i gambi verdi, recisi in prossimità della corolla assente.
Un vezzo che si dice essere venuto fuori dopo le terze nozze, annullate per lo stesso motivo delle due volte precedenti: il decesso prematuro di chi stava per sposare Mise en Place.
Sì! Tre anime salirono nei cieli del Padre Eterno nel giorno del loro matrimonio, lasciando Mise en Place in attesa all'altare. Che sfiga!
E al posto della marcia nuziale per tre volte l’aria si riempì di un requiem colmo di cordoglio.
Ecco perché aveva preso a recidere le rose, il simbolo dell’amore per eccellenza.
Tuttavia una discendenza ha avuto seguito. Chissà chi fu a interrompere quel ciclo sfortunato... Come capitò?
Io al suo posto avrei tappezzato casa di santini e amuleti contro la jella. Sempre che di jella si possa parlare.
[Personaggio ispirato a Morticia Addams, della serie tv “Mercoledì” del 2022]
Tutti amano i party. I bicchieri che tintinnano, le posate che sbattono, i piatti ricolmi di ogni ben di dio, i tappi che saltano, i sorrisi e le grida di gioia intervallate da quelle dei brindisi. Chi non ama una bella festa? No. Non alzate la mano. Voi Maitland non contate. Siete oltre ogni speranza. In ogni caso, se a tutti piace una bella baldoria, per Coriandolo essere l'anima di ogni festeggiamento era una ragione di vita. In particolare aveva inventato il "Non compleanno". Perché festeggiare un solo giorno l'anno? Meglio farlo tutti gli altri giorni! Questo era il suo motto. Era sempre in giro ad organizzare un qualche nuovo divertimento. Come quella volta che imbastì un baccanale in Chiesa, con tutti i presenti vestiti di lenzuola come se fossero antichi romani. O quando fece sgorgare il vino dai rubinetti del paese e tutti si ubriacarono perché per cinque giorni non si poté bere che nettare di Bacco. Immaginate, un intero paese, compresi i pesci della fontana, completamente ubriaco per quasi una settimana... O ancora quando, durante il palio, per commemorare il famoso episodio, diede sul serio fuoco al paese! Certo, forse quest'ultima volta esagerò un poco e se non fosse stato per la protezione della sua famiglia probabilmente vi sarebbe stato un linciaggio... Tra l'altro, a suo dire, l'incendio non era stato proprio colpa sua, e andava proclamandosi innocente per quanto era successo. Ma chi, se non Coriandolo, avrebbe mai potuto mettere a rischio così Swinton? E a quale scopo, poi? In ogni caso nella nostra bella cittadina gli animi si dividevano sul suo conto. Alcuni non provavano che amore e simpatia, mentre altri odio e antipatia. Ma nonostante questo, tutti prima o poi finivano al suo cospetto, seguendo la scia di coriandoli che usciva dalle sue tasche e che era valsa il suo soprannome. Si dice che quei coriandoli fossero magici: quando Coriandolo li lanciava contro qualcuno, questi gli si appiccicavano addosso e finché restavano sui vestiti o sui capelli, la persona guadagnava la capacità dei Gomes di tramutare la cattiva in buona sorte. Ma vi era un ma: come contropartita il beneficiario di questo gesto di beneaugurio avrebbe dovuto lasciare che Coriandolo organizzasse una festa in suo onore... e sapete come si dice "Il Diavolo lancia i coriandoli, ma poi sei tu che devi spazzarli via"
[Personaggio ispirato al Cappellaio Matto, dal film “Alice in Wonderland” del 2010]
Questa che sto per raccontarvi è una storia un po’ strana, che narra di come un sogno di gloria può trasformarsi nella più grande delle sconfitte. Ero molto piccola quando mi fu raccontata per la prima e l’ultima volta, non per volere altrui ma semplicemente perché ne ebbi così paura da volerla quasi dimenticare. E’ la storia di Malocchio, nella cui casa ero solita passare i caldi mesi estivi, e di come la sua vita sia cambiata dopo un inquietante incontro.
- Piccola mia, quando tutto accadde ero molto giovane, non avevo ancora trovato il mio posto, non solo nel mondo, ma anche quello all’interno della mia famiglia. E così decisi di chiedere per la prima volta al Pozzo per avere la certezza di non ricoprire il secondo posto. Del resto, che male c’è a desiderare il meglio? Volevo vederla in faccia, la Strega che nessuno aveva mai visto. Beh, non ottenni nessuna risposta quel giorno, né nei giorni successivi. Donai tutti i miei risparmi alle sue acque, nella speranza che si palesasse.
Una notte di luna piena, nella quale non riuscivo a prender sonno, sgattaiolai di soppiatto fuori dal mio letto e poi giù in cortile, oltre il cancello, fin nella radura al centro della quale stava lui. Nel buio le sue pietre scintillavano, e io ebbi il netto sentore che mi stesse chiamando. Mi sedetti sul suo bordo, facendo dondolare i piedi oltre il muro di sassi, e domandai alla sua profonda oscurità: “Dimmi, che vuoi in cambio del mio desiderio? Che devo fare?”
Un vento gelido salì dalle viscere del suo fondo, e due pallide mani mi afferrarono per le caviglie trascinandomi a picco. Credevo fosse giunta la mia ora. Scalciavo per rimanere a galla e, proprio quando le forze mi vennero meno, qualcosa dal ventre di quelle acque scure prese a brillare sempre più forte. Fu così che mi apparve, per la prima volta, e anche se quel bagliore accecante mi offuscava la vista, sentii comunque la sua voce.
“Vuoi veramente donarmi la tua vita per un tuo superbo desiderio? Rispondimi, adesso!” ordinò. Io le avrei donato qualsiasi cosa, ma che senso avrebbe avuto vedere il suo volto e non poterlo raccontare?
“No, salvami, ti prego!” la supplicai. E lei replicò: “In cambio della tua vita dovrai portarmi un’anima, ma non una qualsiasi: un'anima pura. Per questo ti farò un dono.”
Non ricordo altro di quella notte, ma mi risvegliai sul prato, quando il sole era già alto, segno evidente che avessi acconsentito a quella macabra richiesta. Qualcosa era cambiato in me... era come se percepissi l’anima altrui. Proprio così: da quel giorno ebbi il potere di leggere dentro ad ognuno proprio come se quello fosse un libro aperto. -
Non so se questa storia fosse vera o falsa, ma a suo dire non si recò più al pozzo. Malocchio, così l’appellavano, perché tutta Swinton sapeva che in cambio di un favore era in grado di scacciare la malasorte. Molti furono quelli che ricorsero ai suoi servigi, e io non ho mai capito se lo facesse per bontà o semplicemente perché, lavando l’altrui anima, cercava di mantener fede al patto che aveva stretto, in una notte di luna piena, con una Strega.
[Personaggio ispirato alla Strega, dal film “Il mistero di Sleepy Hollow” del 1999]
Ricordo come se fosse ieri l'ultima volta che incontrai Iceberg. Avrò avuto al massimo sei anni.
L'ora della nanna era passata da un pezzo e, sebbene ci fosse una nave con un equipaggio di quaranta marinai in attesa della sua salita per salpare, Iceberg si intrattenne più a lungo con me. Quella a suo avviso era la sera perfetta per raccontarmi un milione di storie prima di partire per un lungo viaggio.
"Senti questa, per cominciare: è la mia preferita. Era una serata fredda e tempestosa, proprio come adesso! Mi trovavo nella mia dimora, all'interno delle mura di una casa che ho costruito con il sudore della mia fronte. La mia famiglia si era riunita intorno al caminetto per condividere storie e risate. In quella serata, il più giovane di tutti i Bloom aveva deciso di sfidarmi a una partita di scacchi. Aveva una mente fina, nonostante la sua giovane età. Usava intelligenza e determinazione come la lama di un coltello. Sapevo che non sarebbe stato facile ottenere la vittoria, così decisi di mettere su un té e impegnarmi il più possibile. Stava dando il massimo per mettermi in difficoltà, ma se pensava di vincere si sbagliava di grosso. Su quella scacchiera rividi gli scontri più feroci della mia vita: ecco che un alfiere si trasformava in una tigre dai denti a sciabola pronta ad attaccare il mio pedone. Ma ancora una volta, come in tutte le mie avventure del resto, il pedone si salvò. Ci furono mille e più attacchi di questo tipo. Su quella scacchiera oramai era stato messo in scena un lungo duello. Da una parte l'audacia della gioventù, dall'altra la mia esperienza come testa della famiglia Bloom. Mentre muovevamo le nostre armate, la stanza divenne silenziosa. Il crepitio del fuoco sembrava assecondare ogni mossa che facessimo. La tensione nell'aria era palpabile. Alla fine, la partita si concluse con un mio trionfo, ovviamente. Vinsi con una mossa speciale e segreta che appresi da un amico in Russia. Quante ne sapeva quello lì! E quante me ne aveva insegnate! Nonostante la sconfitta, la mia giovane e momentanea nemesi mi sorrideva fiera e mi disse che un giorno mi avrebbe battuto.
Ed è stato lì, proprio in quel momento, mentre osservavo il suo sorriso e ascoltavo le sue parole, che un'onda di orgoglio e affetto mi attraversò il cuore. Avevo trascorso così tanto tempo concentrandomi sui miei doveri da “capofamiglia”, che avevo trascurato quanto fossero importanti le persone intorno a me. E sai cosa ho fatto? Ma ovviamente quello che fa Iceberg ogni volta che si trova nella situazione di dover dimostrare affetto per i propri cari: ho iniziato ad elencare tutti i miei pregi, i miei difetti (facile: l'unico è la modestia) e tutte quelle altre qualità che, pur non essendo pregi, mi avevano fatto vincere. Ahahah!"
La sua risata, rauca e cristallina al tempo stesso, riempì la stanza. Ci furono altre storie quella notte. Storie di avventure e grandi imprese, di misteriose creature e di antiche maledizioni, con Iceberg sempre vincente e protagonista, ma nessuna mi rimase più impressa di quella della partita a scacchi. Perché solo dopo quella storia vidi per la prima volta una lacrima di commozione sul suo volto.
Mi addormentai felice e quando mi svegliai trovai sul comodino la collana che portava sempre al collo con un biglietto: "Senza questa collana non so nemmeno da che parte sta il cielo e da che parte sta la terra" diceva il pezzo di carta. "Non so cosa potrei fare se qualcuno me la dovesse portare via". Vederla lì mi fece capire che la nave su cui stava per salpare era una di quelle da cui non si torna più. E io non mi opposi a quella partenza: lasciai che il destino facesse il suo corso. Sulla faccenda non proferì più parola… e io non seppi mai perché si imbarcò in quella avventura senza il suo portafortuna.
Eppure mi sarebbe piaciuto frequentare Iceberg quando ancora abitava a Swinton ed era nel pieno delle sue forze. Avrei voluto assistere mentre si impegnava nelle scommesse più strampalate, con la convinzione di poterle vincere ogni volta. Come quella volta che (si dice) grazie ad una scommessa delle sue, prima di partire per un nuovo lungo viaggio, baciò ben tre Maitland nello stesso pomeriggio. E quando non scommetteva, raccontava storie epiche sulle sue peripezie. Ora a parlar d'Egitto, ora di India… Insomma era inarrestabile e sempre al centro dell'attenzione. Una vera forza della natura! Ma il problema degli iceberg è che se ne vede solo il 10%. Il restante 90% è sotto l'acqua, dove nessun occhio riesce ad arrivare. E credo che sia stato così in ogni momento della sua vita. Voglio credere però che sotto sotto, un giorno, anche solo per un minuto, ce l'abbia fatta a galleggiare in superficie, a condividere con qualcuno di speciale tutte le emozioni che come farfalle gli volavano nello stomaco. L'avrà fatto sicuramente, ma a quale prezzo?
[Personaggio ispirato a Edward Bloom, dal film “Big Fish - Le storie di una vita incredibile” del 2003]
Quando io conobbi Mezza Giustizia aveva perso la testa, e il letto era diventato la sua seconda casa. “Ictus fulminante" fu la diagnosi, ma ciò non gli aveva impedito di parlare e di raccontare.
“Mi ricordo di quella volta che avevo quasi preso la Banda del Piedone: per un soffio strappai il lembo della giacca a quello più piccolo di tutti, del Piedone più piccolo dei Piedoni, quei maledetti!”
“Mi ricordo di quella volta che feci l’esame per passare di grado, ma erano troppe le domande, addirittura il doppio di quelle che avevano gli altri, doppie domande per una mente brillante, si, proprio così! Domande magiche, ma proprio magiche! Diventarono triple e quadruple”
“Mi ricordo di quella volta che mi chiamò Big Mama: erano sparite tutte le sue carte. Ero ad un passo dal risolvere il caso, il colpevole era… Rullo di tamburi… sicuramente qualcuno della sua famiglia… e niente, il caso si risolse da sé.”
“Mi ricordo di quella volta che mi chiamò la Regina! Sì, proprio la Regina nella persona della Regina in persona. La corona e lo scettro le avevano rubato. Poteva essere il caso della mia vita, poteva essere il caso che mi avrebbe proclamato detective dei detective su tutti i detective e invece… ho ritrovato il tesoro solo a metà, l’altra l’avrà presa qualcuno più lesto di me.”
“L’ultima cosa buona che ho fatto è stato liberare dall’accusa quella buon'anima di Forcula… omicidio dissero… l'omicidio di Merlin. Ma figuriamoci! Merlin la salute non sapeva neanche dove stesse di casa! E poi a me Forcula piaceva: se non altro credeva in me.”
Sicuramente la sua mente giocava in questi racconti degli strani scherzi, ma io ho sempre creduto che ci fosse una mezza verità in quello che diceva Mezza Giustizia.
Se solo i suoi compaesani fossero stati così caritatevoli da dar credito a quello che diceva, magari veramente avrebbe raggiunto un posto di spicco, magari tutti avrebbero avuto un ricordo diverso dal solito “Ah, ma se lo ha detto Mezza Giustizia allora deve esser sicuramente vero a metà”.
In un momento di lucidità mi confessò di aver desiderato tante cose nella sua vita, ma quella più importante era stata riscattare il suo nome... fame che, almeno dai suoi racconti, sembra non sia mai stata saziata.
“Everglot eterni secondi”: è stata questa la sua condanna?
Forse sì, tant’è che neanche la morte era arrivata per prima, mandando suo fratello ictus e lasciando che il suo corpo si consumasse dentro uno scomodo letto.
[Personaggio ispirato al Giudice Turpin, dal film “Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street” del 2007]
Ero avvezzo a chiedere “Chi parla?” Era quasi un obbligo, non sapendo mai se avessi davanti nonno, nonna, uno zio, o una zia. Loro erano uno, nessuna e centomila persone, loro era una folla, e in paese questa sua follia era conosciuta ed accettata quasi come fosse la normalità.
Mi capitava quindi di venir svegliato da nonna con un bacio e una carezza, di venire ripreso da un burbero nonno, di dondolarmi a testa in giù su un ramo insieme a un cugino o di venire aiutato a fare i compiti estivi da una premurosa zia. Questo lui, lei, o per meglio dire LORO erano. In un giorno di lucidità prese a raccontarmi la sua storia.
Stavo lì in un angolo, dietro una tenda. Avevo appena messo la mia girandola rosa sulla finestra, in attesa che il vento mi suggerisse la sua risposta. Qualcuno entrò di soppiatto, giuro di non averlo sentito. Poi un dolore alla testa e buio… quando mi svegliai il mio vestito bianco aveva macchie di un rosso vivo, e la girandola rosa era sparita. Rimasi a fissare il cielo azzurro e silenzioso: lui è stato complice del delitto.
Poi una voce: “Silenzio, per favore! Non vedete che sto calcolando?”
E un’altra “Calcolando che?”
“Calcolando il tempo in base alla distanza che impiegheremo a rubare Babbo Natale”
E un’altra ancora “E perché mai dovremmo rubarlo?”
Ma nella stanza non c’era nessuno…
“Io non sono d'accordo.”
“Io sì: facciamolo!”
“Zitto tu, ormai è deciso.”
“E chi lo ha deciso?”
“Io”
“E tu chi sei? Non ti abbiamo mai visto!”
“Io sono io e lo dovete rubare per me!”
“Casomai si dice rapirlo, non rubarlo… è una persona, non un oggetto.”
“Non fare la pignola. Come si dice, si dice. Lo dovete fare."
“Casomai lo dobbiamo fare!”
“No! Lo dovete, io non vengo.”
“Potete tacere che finisco i miei calcoli? Sennò non ci sarà nessun furto…pardon! Nessun rapimento.”
“E sbrigati, allora!”
“Io ho paura, non vengo.”
“Oh certo che vieni: o andiamo tutte o non va nessuno.”
“No, io ho paura e sto qua con quello che vi ha detto di andare a rubare, o rapire o come cavolo si dice. Se lui sta qua ci sto anch'io."
“Io penso che non sia una buona idea... perché non andiamo a giocare con la palla?”
“Sì, dai, andiamo a giocare con la palla!”
“Silenzio! Manca poco alla fine dei calcoli. Ecco ci sono: se partiamo tra tre giorni impiegheremo solo 34572 minuti e 23 secondi a tornare indietro.”
“Sei sicura?”
“Si, la matematica non sbaglia.”
“Allora andate. Dai, forza, anche voi. Vi prometto che dopo giocheremo tutti insieme.”
“Sei sicuro? Hai promesso, eh… devi mantenere!”
“Ma pensate che bello sarà se mai nessun più scriverà biglietti stupidi… Tanti auguri calorosi dai tuoi amici favolosi, oppure Possa esser questo Natale per te un giorno davvero speciale!”
“Questa invece a me piace: Scaccia via i giorni duri ed accogli i miei Auguri!”
“Per questa cazzata potresti giocarti il posto, sai come dice Mangiaocchi? E’ sufficiente una lobotomia...”
“Non spaventarla, e poche chiacchiere! Mancano solo 34567 minuti e 15 secondi a tornare indietro.”
“Senti, una domanda… .ma perché dobbiamo rapire Babbo Natale?”
“Semplice: se noi non siamo più felici, nessuno deve essere più felice.”
“Vuoi dire che se noi non sappiamo chi siamo, nessuno più deve sapere chi è?”
“Più o meno”
Sono certo che se nessuno avesse rubato quella girandola rosa, CHIPPARLA non avrebbe mai visto la luce.
[Personaggio ispirato ai Bambini Dispettosi, dal film “Nightmare Before Christmas” del 1993]
Della mia infanzia ricordo prevalentemente suoni e profumi. Non ho molti ricordi del periodo fra i sei e gli otto anni, ma se chiudo gli occhi riesco ancora a sentire l’odore della braciola al sugo che sobbolle, il dolce scrocchio del pane appena sfornato e l’aroma del pollo allo spiedo che pervade lentamente la cucina.
Nelle fredde mattine d’inverno, era proprio questo che mi rendeva impaziente di scendere dal letto: avrei sonnecchiato volentieri ancora a lungo, sotto il tepore delle coperte, ma non potevo resistere all’idea di correre giù in cucina a vedere cosa stava combinando Nellia.
La sua passione era talmente forte che iniziava a cucinare all’alba, imbastendo - fra erbe e farine - le prelibatezze che avrebbero fatto bella mostra di sé nei bancali della rosticceria più rinomata di Swinton. Quasi tutte le famiglie, almeno una volta alla settimana, a turno ordinavano un intero pasto presso il suo negozio. Persino i Collins avevano difficoltà a resistervi, sebbene vi comprassero molto meno spesso di altri avventori.
Del resto, come tutti i membri della prestigiosa famiglia Van Dort, anche Nellia era una persona attenta a cogliere l'opportunità giusta al momento giusto: e così, un'ala inutilizzata della casa divenne il punto perfetto per la creazione di un negozio che affacciava sulla strada, pronto a stuzzicare ogni passante con il profumo di mille ghiottonerie appena sfornate.
Si destreggiava fra mestoli e taglieri con l'eleganza di una leggiadra farfalla, riconoscendo ad occhi chiusi tutti gli ingredienti che le passavo: spesse volte, ho giocato a fare l’aiuto in cucina. Quasi noncurante della fila che iniziava a formarsi già dalle dieci del mattino, allestiva la vetrina appannata dal freddo con calma innaturale. Era quasi come se, lì dentro, il tempo stesso si fosse fermato ad ascoltare il suo canticchiare.
Di certo non avevo l’età per capire certe cose, ma oggi giurerei che il suo aspetto dipendesse dagli avventori che avrebbe incontrato durante il corso della giornata: talvolta seducenti e sensuali, altre paffute e trasandate, le sue tenute erano mutevoli; ma certamente era una persona con degli intenti molto precisi, che non avrebbe lasciato mai nulla al caso.
D'altro canto, non si può dire che non avesse un gran cuore: talvolta regalava i pasticci di carne più abbondanti alle famiglie numerose e, amorevole com’era, non mancava di tagliarne una fetta più grande per i bambini più golosi che giocavano nel vicino cortile.
Tutti amavano i suoi manicaretti. Molti li acquistavano a cuor leggero, ben contenti di godersi un pasto delizioso senza la fatica di dover cucinare. Altri, mossi forse dall'invidia, li masticavano invece lentamente e con maniacale attenzione, cercando di capire cosa li rendesse così sensibilmente migliori di qualsiasi tentativo di emulazione da parte loro.
Tuttavia, per quanto si sforzassero, percepivano sempre un dettaglio sfuggente, un ingrediente indefinibile e sconosciuto che rendeva le pietanze della rosticceria le più buone di tutta Swinton.
Ricordo che un giorno, nella morsa di una massaia brontolona che chiedeva di svelare il suo segreto con toni un po' troppo burberi, si limitò a rispondere con un sorriso e una risatina, tale era la sua calma. "Ma no… non c'è davvero nulla di particolare" disse. "Nei miei manicaretti, c'è solo un pezzetto di Swinton". Che cosa volesse dire con quella frase, è per me tutt'oggi un mistero.
Nemmeno la famiglia Davis che, dal canto suo, non mancava mai di rifornire Nellia di qualsiasi ingrediente avesse bisogno per le sue incredibili ricette, era a conoscenza di quale fosse davvero il suo segreto.
Eppure, con il passare del tempo, qualcosa cambiò. Non saprei dire cosa successe, ma il negozio venne chiuso e nessuno ritrovò più il suo ricettario. Qualcuno bisbiglia che sia ancora nascosto da qualche parte nella casa dei Van Dort e che, in esso, ci sia il mistero ultimo delle sue ricette, quell’ingrediente sconosciuto che dava un sapore impossibile a tutte le sue creazioni e che non era mai stato rivelato a nessuno.
[Personaggio ispirato a Mrs. Lovett, dal film “Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street” del 2007]
C’è chi nutre il corpo con pietanze succulente e deliziose, e c’è chi sazia l’anima con la conoscenza. Il mio Avo faceva sicuramente parte di questi ultimi perché si dice che fosse l'insegnante di Swinton capace di tirare fuori il meglio dai suoi alunni.
Alere, che significa “alimentare”, era il suo soprannome, perché era ciò che riusciva a fare durante le sue lezioni, che venivano seguite non solo dagli allievi, ma anche dai loro genitori. Alere nutriva l’anima.
Chiunque uscisse dalla sua aula, affermava che i suoi discorsi sapevano toccare il cuore e aprire la mente a nuove prospettive.
Recentemente ho scovato una lettera indirizzata al mio Avo che descriveva la sua persona come estremamente rigorosa, severa e dalla spiccata eleganza vittoriana.
Chi ha scritto questa lettera non ha posto la sua firma, mantenendo la sua identità nascosta. Tuttavia ho capito che doveva avere un debole per Alere, perché ad un certo punto ha scritto: “Solo chi non ha occhi per leggere la tua anima non sa vedere che è delicata come un bicchiere di cristallo. Bisogna saper versare il vino giusto e con delicatezza posare le labbra sul bordo dorato”.
Senza dubbio il mio Avo deve aver avuto molti pretendenti, ma anche molte inimicizie per via della sua influenza sugli altri: l’invidia è un serpente che striscia in tutti i paesi… anche a Swinton.
Ad esempio la sua maniacale puntualità faceva piacere a molti, altresì irritava i ritardatari; alcuni di loro sospettavano che avesse tasche piene di orologi, altri che fosse in grado di manipolare il tempo a suo favore. Chissà se è vero... Ancora oggi me lo chiedo, e se fosse così mi piacerebbe trovare uno dei suoi orologi in eredità.
Ciò che so per certo è che Alere amava Swinton, il suo piccolo paesino, e che faceva tutto il necessario per migliorarlo, ogni giorno, attraverso i suoi studenti.
Nelle ultime notti, prima di andare a dormire, un pensiero va al mio Avo e immagino la sua figura affianco ad una vecchia lavagna con la schiena inarcata, le braccia incrociate e il sorriso sulle labbra che esclama: "Solo chi è veramente speciale può proteggere il nostro mondo."
Perchè forse Alere, speciale, lo era per davvero.
[Personaggio ispirato ad Alma Peregrine, dal film “Miss Peregrine - La casa dei ragazzi speciali” del 2016]
Crostini di fegatini, polenta fritta e squacquerone, cozze alla tarantina, spaghetti alla carbonara, tortelloni burro e salvia, linguine allo scoglio, filetto al pepe verde, anatra all’arancia, tagliata di tonno alla mediterranea, zuppa inglese, crème brulée, zuccherini con composta di prugne, ananas, mele e albicocche.
Pietanza più, pietanza meno, questo è l’elenco di tutto ciò che mangiò il mio Avo Senzavolto prima di andar via da Swinton senza mai più tornare. Era una buona forchetta da quando nacque, ma quella notte disse a tutta la famiglia Bloom che avrebbe dovuto accumulare moltissime energie per l’avventura della sua vita.
E al ritorno dalla sua ultima impresa, un giorno, avrebbe finalmente amato la sua anima gemella alla luce del sole. Con questa dichiarazione si attirò non poche occhiatacce dal resto della famiglia, perché si sa che “non c’è viaggio o ardita avventura per un Bloom che possa iniziare senza un bacio targato Maitland.” E, di certo, questo misterioso amore non dormiva in casa Maitland.
Che io ricordi, non era la prima volta che il mio Avo celava un segreto alla sua famiglia. Soprattutto quando si trattava delle sue invenzioni al tritolo.
Estremamente noti a tutti erano i suoi viaggi, e questo è sicuro! Soprattutto ai Gomes, che si emozionavano ascoltando le sue storie bislacche. Senzavolto si faceva invitare a cena appositamente da quella famiglia, per due validi motivi: poter parlare di sé e gustare i loro prelibati manicaretti.
Ricordo che una volta mi parlò di quando accese la Torre Eiffel limitandosi a tenere una lampadina in bocca, o di quando sopravvisse a un’esplosione in piena faccia nel Deserto del Sahara senza perdere nemmeno un dente e il suo affascinante sorriso.
Un’altra volta ancora, pare che preparò un esplosivo talmente potente da far cadere una stella: il fatto accadde nella notte di San Lorenzo, in un anno privo di desideri da esprimere. E da lì il genio, l’inventore, il creativo che albergava nella sua anima diede sfogo al suo estro: con la deflagrazione dell’artefatto, si dice che tutta Swinton tremò e si spaventò, tranne Senzavolto perché, a suo dire, fece un patto col Diavolo durante un suo pellegrinaggio in Alsazia: "Swinton è praticamente indistruttibile finché io sarò in vita!".
Le ragioni dietro quest’imperturbabilità non furono mai chiare a nessuno, ma se volessimo sommarle all’alone di mistero che da sempre ha circondato le sue criptiche imprese, nonché alla bonaria maldestria che dimostrava nei suoi passatempi a Swinton, potremmo sicuramente dedurre il perché del suo inquietante appellativo "Senzavolto": una sorta di ombra nera, volubile e scostante, tanto impalpabile quanto antica nella memoria. Non mostrava un volto ai suoi cari, ma mille, cambiando viaggio dopo viaggio, sfuggendo alle definizioni mai totalmente positive o negative di quei lati celati dell’animo umano, impercettibili dall’esterno, ma che dentro crescono e cambiano nel tempo.
E nascosti altrettanto erano i suoi segreti, soprattutto per qualche malelingua dei Pirelli, che difficilmente avrebbe attribuito delle imprese tanto ammirevoli a una persona così poco incline a fornire qualsivoglia tipo di spiegazione; soprattutto quando le accuse riguardavano lo sfruttamento del prossimo nelle terre lontane che aveva visitato…
[Personaggio ispirato allo Zio Fester, della serie tv “Mercoledì” del 2022]
"Quando l'Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che gridava: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in mezzo ai quattro esseri viventi: «Una misura di grano per un danaro e tre misure d'orzo per un danaro! Olio e vino non siano sprecati»".
Forse non sarà stato davvero uno dei quattro cavalieri dell'Apocalisse, ma il mio Avo, il soprannome Fame, se lo era decisamente guadagnato. La sua ingordigia, infatti, era leggendaria. Ovunque passasse aveva lo stesso effetto di uno sciame di cavallette. Ed esattamente come una piaga biblica era considerato dagli altri membri del parentado e dagli abitanti di Swinton. Per quanto tutta la famiglia Bloom sia conosciuta per essere composta da buongustai e buone forchette, nessuno poteva rivaleggiare con la sua capacità di ingurgitare cibo, tanto che quando si aggirava per il paese tutti nascondevano i viveri. Erano note le sue passeggiate, così come erano note la sua allegria e il suo sorriso pacioso e bonario. Ma qualora avvistava una tavola imbandita, o qualcuno che stesse consumando anche solo una frugale merenda, il suo volto si trasformava completamente in qualcosa che non aveva niente di umano. Allora, dopo aver pronunciato la parola "Posso?", senza attendere risposta tirava fuori la sua grande forchetta e, senza alcun ritegno o vergogna, spazzolava in men che non si dica ogni pezzetto di cibo, lasciando il malcapitato letteralmente a pancia vuota. Alla fine del lauto pasto, si puliva la bocca con la manica ed allontanandosi esclamava: "Buono, ma ho ancora fame!"
Si dice che avesse un unico desiderio: quello di trovare la pietanza che finalmente potesse riempire il suo stomaco. In effetti si narra che tutta la sua voracità derivasse da una maledizione. Era molto giovane quando, durante un Palio, mangiò tutto il contenuto dei paioli della gara delle polpette. A suo dire fu proprio mentre ingurgitava l'ultimo boccone che udì una voce alle sue spalle "Che cosa hai fatto?! Tu e la tua ingordigia... Da oggi patirai per sempre la fame, finché non troverai l'unico cibo che potrà spezzare questo incantesimo!". E così un giorno lasciò Swinton, per ampliare la sua ricerca e trovare questa fantomatica vivanda. Si narra che le sue gambe portarono Fame fin sotto la Tour Eiffel per assaggiare le prelibatezze della Nouvelle Cousine, e a Nuova Delhi per degustare il miglior chapati, così come nello Yucatan per assaporare le tortillas più saporite... ma niente da fare. Così, dopo aver viaggiato in lungo e largo, tornò a Swinton con la convinzione che solo lì, nel suo paese natale, ci fosse il mezzo per mettere fine alla sua nefasta condizione.
Non so dire se riuscì ad affrancarsi dalla sua maledizione, quello che so è che da qualche parte deve esserci ancora la sua famosa forchetta telescopica.
[Personaggio ispirato ad Augustus Gloop, dal film “La fabbrica di cioccolato” del 2005]
Si dice che l’Oriente sia luogo di ispirazione e di profondo cambiamento per coloro che cercano una seconda possibilità.
Per il mio Avo, a quanto pare, fu proprio così. E il suo soprannome parla chiaro: India.
Chissà se furono i flutti del Gange, o i templi dedicati ai Deva, o ancora i sobborghi che in ogni parte del mondo i Pirelli sono soliti frequentare. Fatto sta che il temperamento violento di India era mutato in calmo e ridanciano quando fece ritorno dal quel suo lungo viaggio. “Un incantesimo” alcuni dissero, e altri aggiunsero che quella magia se la fosse addirittura portata a casa. A Swinton. Clandestinamente. In pieno stile Pirelli!
So bene che quel che sto confessando sono congetture nate dalle poche cose che so sul suo conto; tuttavia, ho scoperto recentemente una scatola in soffitta che sopra appiccicato aveva un foglietto ingiallito dal tempo: “Swinton”. Quando la aprii, cianfrusaglie confuse e maleodoranti vennero alla luce. Scorsi una bottiglia con un'etichetta artigianale che recitava: “Un sorso di Infuso del Sol Levante e dormirai in un Sol Istante”.
Ecco, quella notte mi apparve in sogno India. Ero a casa sua. Nessuno me lo disse, ma io lo sapevo. Era tutto familiare. Le sue mani abili erano indaffarate a smistare erbe segrete e misteriose, dai colori pulsanti e insoliti. Si mise a tritarne grezzamente una manciata quando un estraneo comparve alla finestra e con fare circospetto chiese a bassa voce: “Hai ancora un po’ della tua tisana esotica?”. India finì il lavoro, poi fece un tiro lunghissimo da una pipa gigante, posata a terra e dalla forma che non saprei descrivere talmente era psichedelica. Infine passò un pacchetto al suo cliente con un sorriso calmo e saggio. “Fanne buon uso e goditi la vita!” disse solo.
Big Mama, se avesse visto quella scena, avrebbe mollato sberle a tutti i presenti per punire quello smercio del quale nemmeno casa Pirelli era il giusto porto. Anche questo in quel sogno sapevo.
La scena cambiò all’improvviso. India su una collina, sospirando, guardava un tramonto. L’espressione era consapevole, con una nota di malinconia. “Se solo tutta Swinton vedesse quel che che vedo io, allora capirebbe che per eliminare litigi e guerre basterebbe chiamarci tutti fratelli e sorelle. Ma nessuno mi ascolta fino in fondo. Io li vedo tutti. Leggo le loro anime disperate. Anche la mia era così. Li capisco. Ecco perché dico sempre la verità sul loro conto, quella che sa guarire e non offendere, ma nessuno mi crede. Tranne Luna e i miei amici del Piedone!”
India si interruppe all’improvviso e mi fissò negli occhi. “Vuoi far parte anche tu della Banda del Piedone?”
Di colpo mi svegliai con ancora quella domanda nelle orecchie.
“Banda del Piedone? Ma che sarà mai? Un gruppo di amici che fanno qualcosa di segreto che ha a che fare con i piedi… forse con le orme che lasciano… Ah! Forse India faceva indagini segrete e aveva dei colleghi?”
Poi scossi la testa per togliermi quelle fantasie di torno, e promisi che non avrei più bevuto un sorso di Infuso del Sol Levante.
[Personaggio ispirato al Brucaliffo, dal film “Alice in Wonderland” del 2010]
Era una giornata d'estate anomala: il cielo era cupo e le nuvole nere all'orizzonte non promettevano nulla di buono. Fu quel giorno che Zefiro decise di sedersi con me sopra un grande ceppo scuro. Fu qui che decise di condividere con me una storia della sua gioventù.
"Adoravo questo albero. Pensa che, durante la mia infanzia, aveva una folta chioma verde e dei frutti di cristallo con un bel nocciolo colorato. Quando il vento soffiava, il nocciolo tintinnava all'interno dei frutti creando una bellissima musica. Io e Forcula avevamo preso a venir a giocare insieme tra i suoi rami per apprezzare meglio quel suono; arrampicarmi era un gran divertimento. Poi un giorno scivolai, e nel tentativo di salvarmi mi aggrappai ad un frutto: questo si ruppe in mille schegge, ferendomi gravemente le mani. Quando il mio sangue tocco la ruvida corteccia, l'albero rinsecchì. Non più foglie verdi ma nodosi rami neri si stagliarono verso il cielo. La caduta mi provocò questa zoppia che mi porto dietro e queste mani orribili che furono ricucite alla bell'e meglio dal padre di Aspirina. Nulla per me da quel giorno fu più lo stesso"
Si mormora a Swinton che Zefiro avesse nelle vene una sorta di maledizione, e che per questo l'albero morì e poi fu tagliato. Ma ciò che non si dice è che anche Forcula quel giorno si ferì e cadde. Sul suo sangue, però, nessuno mai proferì parola. Credo che sia stata proprio questa sua vicenda a cambiare per sempre la sua vita e le sue sorti, a decidere dei suoi odi e dei suoi amori.
Il confine della società sembrava essere diventata la casa di Zefiro. Il suo atteggiamento diventò goffo, e la sua goffaggine era enfatizzata dai vestiti sempre troppo grandi che indossava.
Io so che tutta Swinton rideva al suo passaggio, e coloro che non ridevano avevano timore e facevano scongiuri. Persino la sua famiglia aveva preso le distanze... tutti tranne una persona che, a suo dire, era stata l'unica a sopportare tutto questo maremoto.
Non ho mai saputo chi fosse: la sua reticenza a parlarne era così forte che ogni volta che provava a farlo i suoi occhi si riempivano di lacrime. A quanto ho capito questa persona si allontanò lasciando di sé solo uno specchio infranto, che Zefiro custodiva gelosamente in un cassetto.
L'incidente cambiò non solo il suo aspetto fisico ma anche il suo carattere. Passava le sue giornate in completa solitudine, odiando tutto e tutti, covando dentro di sé una malsana voglia di riscatto. Credeva fermamente che se avesse avuto il potere avrebbe cambiato le cose, avrebbe ottenuto rispetto e avrebbe finalmente comandato. Per quanto ne so l'unica influenza che mai avesse avuto era quella su Argento... Non c'era giorno che non scordasse di maledire il suo nome, prendere a calci il suo sedere o invocare la sua figura ogni volta che aveva bisogno. Ecco! Se non fossi certo dell'esistenza di Argento, crederei che fosse frutto della sua immaginazione. Non ho mai capito perché Argento fosse in grado di sopportare il suo carattere scorbutico, tanto da essere soggetto a ogni suo volere e capriccio.
Certe volte l'amicizia segue vie misteriose! Io so che dietro il suo carattere ruvido si nascondeva un animo gentile. La sua buonanotte veniva sempre accompagnata da una strana poesia.
"Se prendo una corona e me la metto in testa sarò il re della festa,
se trovo uno scettro per completare il quadretto tutto sarà reale e ci sarà un bel banchetto".
Poi seguiva un bacio sulla fronte e un soffio sulla candela.
E io sotto le coperte mi son sempre domandato quale fosse veramente la sua storia, e se mai avesse trovato l'amore e il potere.
Sono certo che a Swinton troverò le risposte.
[Personaggio ispirato a Pinguino, dal film “Batman” del 1989]
A scuola, quando passava, tutti i bambini sbattevano i piedini e in coro dicevano: "Buongiorno, vostra altezza preside Van Dort!" Quindi, in silenzio, Registro li passava in rassegna uno a uno, con un aspro sorrisino sul volto, e scriveva in modo discreto su quel quadernino che si portava sempre in tasca. Segnava ogni cosa: pulizia, condizione della divisa, faccine inadeguate spesso frutto solo dell'inquietudine, ma chiaramente atte a schernire il suo ruolo, presenza fisica ed estetica. E a ognuna di queste voci attribuiva un punteggio, quasi mai superiore alla sufficienza, sentendosi quindi in dovere di rimproverare e far notare ogni più piccola e insignificante mancanza. Una volta stilata la classifica la decisione era irrevocabile, e Registro, preso in mano il prezioso megafono d'oro che portava sempre agganciato alla cintura, prontamente annunciava a squarciagola chi si era aggiudicato il primato di peggior studente della giornata, spesso suscitando grande approvazione in Mise En Place.
L'approvazione da parte di una personalità così importane a Swinton, unita a quel senso di potere che scaturiva dal ruolo autoattribuitosi di giudice insindacabile, riempivano Registro di soddisfazione. Tanto che quel quadernino aveva iniziato a portarselo appresso anche fuori dalle mura scolastiche, giudicando costantemente i suoi concittadini nelle loro normali attività quotidiane: chi saltava la fila alle poste, chi masticava sbadatamente con la bocca aperta, chi sfoggiava una cravatta stirata al rovescio... nessuno era al sicuro dalla tagliente stilografica di Registro, nemmeno Specchio. Ogni appunto era accompagnato da una smorfietta di soddifazione: ah, com'era bello annotare le imperfezioni del mondo circostante! Così non vi era tempo per pensare alle proprie piccole pecche, sommerse dal mare di inadeguatezza in cui toccava sguazzare.
Non si separava mai dal suo pennino. Si diceva avesse origini avvolte nelle nebbie del tempo, che fosse una penna magica capace di scrivere direttamente i pensieri di chi la impugnava, o di non poter mai stilare il falso, o ancora di far divenire le parole realtà. Quando Registro la sfilava dalla tasca, tutt'attorno calava un silenzio tombale, come se avesse sguainato un fioretto.
Era costantemente, immancabilmente impeccabile. Capelli scolpiti, abiti inamidati, scarpe lucide. Mangiava a un orario preciso, a piccoli bocconi, tagliando le pietanze in dadini di esatto numero pari. Ma io so una cosa...
Un giorno, pensando non vi fosse nessuno, Registro aveva deciso di levarsi scarpe e calzini per calpestare l'erba fresca. Se ne stava in totale beatitudine, in libertà, a godersi quel momento di imperfezione così tanto sospirato, quando si accorse di Luccicanza poco distante che guardava ridendo nella sua direzione. Il suo silenzio sull'accaduto costò a Registro niente popo' di meno che il suo preziosissimo megafono d'oro! Tuttavia non posso fare a meno di pensare a quanto debba essere stato liberatorio, per una volta, poter camminare a piedi nudi sull'erba... quanto debba essere stato bello per Registro potersi abbandonare alla spensierata imperfezione.
E anche a quanto fossero felici gli abitanti di Swinton di non essere più assordati ogni giorno da quell'opulente megafono.
[Personaggio ispirato a Larissa Weems, della serie tv “Mercoledì” del 2022]
Il primo (di lunedì) ad andare fu l'amore di quando ero infante.
Poi (con il matrimonio martedì) un infarto mi vedovò in un istante.
La terza volta (che fu di mercoledì) è stata la più brutta:
Allergia mortale alla macedonia di frutta!
Quarto e quinto matrimonio, non sai che male:
Entrambi "Kaput!" per una caduta dalle scale!
Ma il sesto (sabatino) che di tutti sembrava il più sincero,
Com'è finito? Boh... Mistero!
Ogni volta, senza rimpianti
Sguardo dritto, sempre avanti.
Che d'amar le unioni non ci si dimentica:
Chi sposerò una bella domenica?
Non ho mai capito se questa filastrocca la inventarono in paese a mò di sfottò, o se servisse solo per ricordarsi chi aveva sposato chi. Fatto sta che Sunday se la trovò cucita addosso meglio di un abito da cerimonia, e tutti a Swinton la intonavano ogni volta che passava per le strade. E anche il soprannome che si ritrovò, Sunday, ricordava sempre la sua tragica storia. Sei volte la morte aveva portato via la sua dolce metà, ma con quelle non era certo morta la speranza. Sunday ripeteva sempre: “La prossima volta sarà quella buona”. Così, finito il funerale e dismesso il lutto, tornava a cercare l'amore. E i sorrisi, tra un matrimonio e l'altro, per Sunday erano la ricompensa più dolce. Eppure non pensate che abbia solo avuto in testa il matrimonio tutto il tempo. Preparava marmellate e cantava come nessun altro sapeva fare a Swinton. A me non l'hanno mai detto quali, ma le arti che sapeva guidare alla perfezione erano tre, ne sono certo! Una è il canto, ma sulle altre due cala un velo di mistero. C'è chi dice "magia nera", chi invece suggerisce "sapeva tagliare barbe e capelli ad occhi chiusi", e chi ancora "trasformava fili di lana in spaghetti!" Chissà cosa è vero e cosa no... Soltanto chi all'epoca abitava con Sunday a Swinton potrebbe fare luce su questa storia, se solo qualcuno fosse ancora vivo.
Tutti in paese facevano il tifo per Sunday e per il suo amore sfortunato. Certo, non si vedevano file di abitanti candidarsi apertamente per occupare quel posto che per sei volte è rimasto vuoto, ma la chiamata di sicuro venne raccolta. Eh sì, perché nel baule con tutta la sua roba mi misi un giorno a cercar per bene. E lo trovai: un anello d'argento con dentro inciso "Da adesso, per sempre." Che sia il pegno d'amore della sua ultima e definitiva conquista? A me piace pensare che sia così, ma chissà com'è andata veramente.
[Personaggio ispirato a Johanna, dal film “Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street” del 2007]
Quando si compone un epitaffio lo si fa con il cuore, scrivendo dolci parole per il defunto che ci ha lasciato.
Non è sicuramente il caso di Linguargentina, il mio Avo, che come mestiere stilava epitaffi e discorsi da declamare in onore del morto di turno al suo funerale. Le sue parole al contrario pare fossero sagaci e sferzanti prese in giro, le quali tuttavia rivelavano sempre la verità su un qualche preciso aspetto. Ecco, possiamo dire che i suoi componimenti spiattellavano i difetti del defunto, quando sarebbe stato meglio lasciare ai posteri memorie più pregiate. Tutti desideriamo essere ricordati, dopo il passaggio della Vecchia Signora velata di nero, per la migliore versione di noi stessi.
Linguargentina sapeva spegnere questo afflato di santità. Chissa perché agiva così...
Dovete sapere che fu sua la mano che vergò l'epitaffio funebre per la vecchia Domitilla Davis quando spirò. Recitava, pensate un po': "Riposa in serenità, Domitilla, che puzzavi più da viva di quanto tu non lo faccia ora da morta."
Questo è l'unico reperto scritto che da Swinton è arrivato nelle mie mani. E, comprensibilmente, fu un grande scalpore. Pare che subito dopo scoppiò una lite furibonda e qualcuno della famiglia Davis lanciò per vendetta una maledizione. Quale fosse nessuno la rammenta, e quando indago più a fondo i miei famigliari abbozzano ricordi frammentati; poi, con la scusa di non ricordare, cambiano argomento. Che diavolo successe? La mia curiosità ha raccolto molte strambe informazioni sul mio Avo, ma non ha ancora trovato la risposta su quel fatto.
Una diceria in particolare mi colpisce. Pare che girasse per le strade di Swinton senza mai sorridere. C'era chi cercava di provocare una risata con battute o altri espedienti, ma ciò che da Liguargentina riceveva erano risposte distaccate e fredde come l’argento. Ed ecco il motivo del suo strano soprannome.
Che lo facesse a causa del suo carattere cupo o per un motivo celato nel suo cuore non ci è dato saperlo. O non ancora.
Tra poco tornerò a Swinton, e passeggiare per i luoghi in cui il mio Avo ha vissuto sarà come leggere la sua anima: potrò capire se era davvero nera come la storia dei Maitland insegna.
[Personaggio ispirato a Mercoledì Addams, della serie tv “Mercoledì” del 2022]
“Quando partecipai al concorso “Poesie a vanvera”, i miei versi che riflettevano sulla natura del cosmo vennero apprezzati da tutti, ma quell’anno i gatti andavano per la maggiore e il primo premio andò alla poesia composta da un solo verso “Miao, Miaoooooooooooo”.
Me ne andai esclamando “Morirete tutti!”. L’avevo presa bene.
Quando partecipai al concorso “Ritratti a vanvera”, il mio quadro che ritraeva tutti i 453 abitanti dell’intera vallata ricevette menzioni d’onore, ma l'autoritratto “Un po’ di me” - un barattolo pieno di lanugine raccolto nel tempo dall’artista - meritò il favore di tutti i critici.
Salutai la giuria con un falso e abbondante sorriso, promettendo che l’anno successivo avrei portato un vaso colmo di merda!
Quando partecipai al concorso “Sculture a Vanvera", la mia scacchiera composta da accurate e fedeli riproduzioni in miniatura delle statue di Michelangelo, Canova e Bernini meritò uno scrosciante applauso, ma quell’anno vinse un sasso che l’artista usava lanciare al suo cane Rock. Che umiliazione! Presi quel sasso e lo lanciai giù per la scarpata del monte. Il cane lo rincorse e il padrone dietro di lui. Solo Rock fece ritorno. E giustizia fu!
Così decisi di non partecipare più a concorsi a vanvera, che di fatto divenne il mio soprannome. Vanvera.”
Questa è l’unica pagina del diario del mio Avo che ancora conservo.
Si capisce che doveva essere un peperino irritabile e con molta inventiva. Insomma, chi crederebbe mai nell'esistenza di quei concorsi e di quelle "opere"?
Eppure sapere di discendere da un’anima d'artista mi riempie di orgoglio, e apprendere quanto il suo talento fosse incompreso rende la sua figura più umana, più simile a me.
Lo dico perché le poche volte in cui la mia famiglia ha intavolato discorsi su Swinton e su Vanvera gli aneddoti narrati erano confusi, persino gonfiati, tanto che sembravano favole assurde, e Vanvera ne usciva come una sorta di leggenda.
Ad esempio mia madre disse che la sua arte non fu un dono di Dio, ma del Diavolo che incontrò nel bosco.
“Siglarono un accordo che si rivelò essere un inganno dal quale Vanvera cercò di liberarsi in tutti i modi: “Promettimi che non smetterai mai di parlare attraverso questi talenti che ti concedo, e io ti prometto che saprai creare opere che soltanto i santi sapranno comprendere” fu la frase del Diavolo con la quale sancì il patto, e la applicò alla lettera. A quanto pare non sono mai esisti santi a Swinton. Vanvera deve averli cercati tra le varie giurie, ma senza esito positivo perché non vinse mai un premio. E le sue opere dove sono ora? Di loro non è rimasta traccia.
Forse - ritenendoli manufatti diabolici - qualcuno li ha distrutti. Oppure sono stati nascosti, magari proprio dalla sua strana combriccola. La Banda del Piedone! Così si facevano chiamare.
Nessuno sa che cosa facessero durante i loro incontri segreti, ma questo gruppo di amici era temuto da alcuni e invidiato da altri.
Forse inneggiavano a Satana e Vanvera presiedeva l’altare… ahahah! Ti ho messo paura?!”
Mia madre è sempre stata teatrale, e ora che so qualcosa in più del mio Avo capisco da chi abbia preso, e forse anche io.
E una domanda mi assilla... Vanvera avrà trovato il suo Santo?
[Personaggio ispirato ad Enid Sinclair, della serie tv “Mercoledì” del 2022]
Mi sono sempre piaciuti i dolci. Fin da quando ero bambino. I miei genitori non volevano li mangiassi perché dicevano che poi mi si sarebbero cariati i denti. Ma per fortuna c'era il mio Avo Miele, che di nascosto da mamma e papà mi riempiva le tasche di tavolette di caramelle Wonka, gelatine e lecca lecca.
Poi, un giorno, sorpresi Miele a confabulare con il dentista: "Eh, amico mio, vedrai quanti soldi ti farai a sistemare i denti di mio nipote!". Ecco, avrei dovuto saperlo: mai fidarsi di un Pirelli, e soprattutto di Miele. Aveva la capacità di invischiare i suoi sfortunati uditori in un appiccicoso groviglio di dolci parole al termine del quale riusciva sempre a rifilare loro qualche fregatura.
Ad ogni modo spacciare dolci non era la sua prima occupazione. Aveva un negozio di barberia lungo Fleet Street. Tutti passavano da lì non soltanto per un taglio di capelli o per una rasatura, ma anche e soprattutto per le sue chiacchiere. Inframmezzate da racconti di "quando era in Italia", dove, stando a ciò che narrava, sembrava aver vissuto le avventure più assurde, tra cui aver militato al servizio del Re delle Due Sicilie e del Papa, proponeva affari e compra-vendite degli oggetti più strani a tutta Swinton. Passare un'ora nel suo negozio significava essere travolti da un fiume in piena di melassa e caramello fuso con cui riempiva le orecchie dei suoi clienti e con cui decantava la bontà degli affari che gli andava proponendo. Si entrava per un normale servizio di barberia e si usciva con in tasca un contratto per l'acquisto di una pescheria di code di sirena. Ma la cosa che a Miele più piaceva smerciare, e lo faceva con grande orgoglio, era una lozione per capelli: l’Elisir Sansone, poiché parrebbe essere stato proprio quello che fece ricrescere i capelli al mitico eroe biblico. Ne tesseva le lodi e ne narrava i prodigi a chiunque. A suo dire non solo permetteva di risolvere i problemi tricologici, ma garantiva forza e potenza, nonché fiducia in se stessi.
Sta di fatto che un bel giorno la sua lozione iniziò a funzionare davvero. Come questo fosse stato possibile, nessuno lo ha mai capito. La questione destò un certo scalpore anche tra le fila dei Pirelli. Big Mama prese le redini della questione e, convocando Miele, iniziò il suo lavaggio di capo (per fortuna era di buon umore quel giorno, altrimenti le sue grida si sarebbero sentite per tutta Swinton). "Miele, tesoro mio. Che cosa combini? Perché non porti avanti le nostre tradizioni? L’onestà non è una cosa che si confà a noi Pirelli, così infanghi il buon nome della famiglia! Avevo riposto tante speranze in te, addirittura da pensare che un giorno avresti potuto prendere il mio posto... che delusione..."
Dopo un tale discorso Miele gettò via tutte le boccette di Elisir Sansone e strappò il foglio su cui aveva trascritto la ricetta. Eppure... eppure c'è chi dice che un ultimo flacone della magica pozione sia ancora nascosto in qualche soffitta o baule polveroso delle case di Swinton. Chissà se è vero...
[Personaggio ispirato ad Adolfo Pirelli, dal film “Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street” del 2007]
Avete presente quando da piccoli non vedevamo l’ora che arrivasse Natale? Non solo per i regali, ma anche per poter incontrare quel grassoccio anziano signore con quella folta barba bianca, tutto vestito di rosso, sedersi sulle sue gambe e affidargli tutti i nostri segreti e desideri mentre lui ci incantava con le sue parole? Ecco, è esattamente così che mi sentivo quando dovevo andare a Swinton da Forcula. Era una persona estremamente divertente con la battuta pronta, tanto carismatica da farmi credere ad ogni singola sua parola. Avrei fatto qualunque cosa mi chiedesse di fare, persino ballare, cosa che mi sembrava che a Forcula piacesse molto. Ricordo che un giorno mi confessò la sua strana passione per il fuoco e le ossa dicendomi che mi avrebbe insegnato i suoi segreti. “AHAHAHAH! Tesoro, un giorno ti farò fare cose meravigliose!” Queste furono le sue parole, e io ero entusiasta.
Poi sono cresciuto, e la maturità porta con sé nuove consapevolezze. Ho smesso di credere all’esistenza di quel signore con la barba bianca e il vestito rosso e, con mio grande rammarico, scoprii che Forcula non era ciò che io avevo sempre creduto: aveva una personalità complessa e contraddittoria, un carattere edonista con una vena di follia che aleggiava nei suoi occhi; non desiderava altro bene se non il suo. La sua ironia, i suoi scherzi... ora riesco a vederli con un occhio diverso, e so che c’era della malizia e della cattiveria dietro di essi. Quelle “cose meravigliose” che mi aveva promesso tramite la lettura delle viscere nel fuoco servivano soltanto per esaudire i suoi desideri: con l’arte dell’Aruspicina e della Piromanzia aveva ottenuto Droghe, Alcool, Favori, Piaceri sessuali. “Ti è mai capitato di danzare con le fiamme nel pallido plenilunio? È una sensazione da provare almeno una volta nella vita: un turbinio di calore e musica si fondono con i banchetti e i desideri carnali”. Piuttosto inquietante come formula, non trovate? A molti piaceva, e infatti aveva parecchi affiliati, ma a chiunque osasse mancargli rispetto rispondeva con un silenzio glaciale, e state sicuri che prima o poi qualcuno avrebbe conosciuto la sua vendetta. Come accadde a Merlin, ad esempio, che dopo una serie di sventure dovute a dei macabri scherzi, finì per ritrovarsi cadavere per mano di qualcuno... e tutto questo per non aver ceduto il suo posto in chiesa a Forcula! Le voci a Swinton hanno iniziato a sussurrare: “Si tratta sicuramente di Forcula!” “Il fuoco ha bruciato tutti i suoi neuroni!” ed altre “Ma no, impossibile, non può aver fatto tutto questo per un posto in chiesa, sarebbe una reazione troppo folle!”. A dissipare ogni dubbio sulla sua posizione arrivò Mezza Giustizia: “Secondo la legge che rappresento, Forcula non c’entra niente con tutto questo!” “Non avrei saputo dirlo meglio” disse il mio Avo con un grosso ghigno stampato in faccia.
Il suono del suo nomignolo era ciò che a Forcula più piaceva: gli ricordava continuamente che la vita è fatta solo di desideri, da assecondare o da creare. Tutta Swinton al suo cospetto avrebbe dovuto sempre sentirsi come ad un bivio: tra la paura di ritorsioni e la devozione per il suo operato.
La conosco bene questa sensazione perché anch’io al suo cospetto mi sentivo così. Mi ricordo che stavo dormendo nel suo letto e, aprendo un occhio, vidi Forcula davanti allo specchio mentre si lisciava i capelli e si truccava per la serata. Era un’immagine meravigliosa. Poi iniziò a parlare al suo riflesso “Ehi Forcula, cosa manca per la perfezione?" “Niente di niente Forcula!” “Forse desideri qualcosa, guarda meglio...” “OHOHOH Proprio no Forcula, ho tutto quello che voglio!” “Che ne dici di una Corona e di uno Scettro eh? Non sarebbe divertente averli?” “E cosa te ne faresti mai, scusa?” “Forcula, sono gli oggetti che dovrebbe avere la persona più amata e rispettata di Swinton, giusto?” “AHAHAH GIUSTO! CE LI AVRO’ PRESTO!” “Mezza Giustizia sarà fatta… è Una Promessa!” “Sarà veramente divertente prenderli, fOrcULa!”
[Personaggio ispirato a Joker, dal film “Batman” del 1989]
Non che sul conto di Promessa si conoscesse molto. Tutto ciò che si sa è che, nonostante la giovane età, riuscì a ricoprire un ruolo di spicco e di comando per parecchi anni a Swinton; che avesse un'unica spalla sulla quale appoggiarsi che era quella di Argento; che fosse la più giovane mente a guidare la famiglia Van Dort. Si dice che gli anni in cui fu "capofamiglia" il patrimonio dei Van Dort raddoppiò. I raccolti furono più generosi, nelle miniere di famiglia vennero trovati giacimenti di diamanti. Non aveva l'abitudine di perdersi in tante parole, e sembra che quando prometteva qualcosa riusciva sempre a mantenerlo.
Pareva che tutto sorridesse a Promessa, che finì per essere la figura più invidiata del paese, tanto che le malelingue presero a sparlare alle sue spalle, insinuando la voce che dietro la sua fortuna si nascondesse un oscuro segreto. Si credeva che in cambio dell’oro avesse venduto l’anima di chi amava al Diavolo. Proprio così! Aveva un amore che teneva segreto: sembrava così felice in quel tempo che tutta Swinton aveva creduto che potesse convolare a giuste nozze. Ma per volere del fato (o del Diavolo?) un giorno tutto cambiò. E al posto del suo sguardo innamorato comparve la sua esagerata fortuna, e di quella che doveva essere la sua dolce metà non si seppe più nulla. A chi domandava rispondeva sempre: “Rimarrà dentro il mio cuore per sempre, ma non potrà mai essere al mio fianco”.
Diciamo che io sono stato particolarmente fortunato ad essere un suo discendente.
Non ho mai capito quanto ci fosse di vero o di falso in tutto questo. Un giorno ebbi una risposta da una lettera scritta di suo pugno, trovata in un cassetto della scrivania. Peccato che il tempo e le lacrime l’avessero consumata tanto da renderla quasi illeggibile.
"Mio caro e unico amore perduto, non passa giorno che io non pensi a te e ai pochi momenti felici trascorsi insieme. Li sento ancora presenti, vividi come mai, come nessun giorno della mia vita è stato, è e sarà.
Avrai ciò che vorrai ma giammai dimenticherai, così mi disse.
E io mi domando: ho veramente ciò che voglio? Di te mi resta solo questa co____ nella quale è racchiusa la tua anima. Avrò cura di lei proprio come se fossi tu, e tu abbi cura di quel br_______tto che ti regalai come segno del mio a____ che ___ ine.
Ho peccato di superbia, forse? Ho sacrificato la mia vita e la tua perché il nome Van Dort non venga mai dimenticato. P____ e puoi, amore mio. Ti prometto che non avrò mai nessun altro amore __________ di te.”
L'amore e il potere... c'è chi sceglie l'uno, e chi sceglie l'altro. Promessa sembrava avere scelto il secondo ed aver condannato il primo per sempre, legandolo però a sé con un invisibile ed indissolubile nodo.
[Personaggio ispirato a Barkins Bittern, dal film “La sposa cadavere” del 2005]
"Chiedi a Passpartout". Questa era una delle frasi simbolo di Swinton quando ero piccino. Passpartout era il mio Avo, ed io ero molto fiero di potermi definire suo Discendente. Tutti in paese facevano riferimento alla sua figura. Persino il Sindaco, il Primo Cittadino, si rivolgeva a Passpartout, che sembrava possedere la chiave giusta per ogni tipo di guaio.
A Capofamiglia dei Gomes, rappresentava in tutto e per tutto l'ottimismo che da sempre li caratterizza. Qualsiasi fosse il problema sottoposto alla sua attenzione, dal gattino sull'albero, all'epidemia di Enfiteusi di Sant'Efronio, Passpartout non si scomponeva mai. Con attento amore ha cresciuto tutti i membri della famiglia, facendo sia da padre che da madre, rassettando, cucinando pasti, lavando i vestiti, e fornendo alla bisogna saggi consigli od indicazioni per superare i momenti difficili. Aveva sempre un sorriso stampato in faccia e quegli occhi così saggi e tranquilli, come quelli di chi sapeva sempre cosa fare. Solo una volta la sua espressione si accigliò. Stavo giocando nella nostra vecchia casa e all'improvviso, non so come, mi ritrovai a rovistare dentro un vecchio baule che non avevo mai visto prima. Dentro vi trovai alcune cose strane: una pistola, una rosa recisa e una maschera, come quelle che nei fumetti si mettono i supereroi per nascondere il volto. Quando mi vide, il suo solito aspetto benevolo si rabbuiò e con un improvviso scatto d'ira mi strappo quegli oggetti dalle mani e li rimise nel baule. Io non ebbi il coraggio di replicare tanta era stata la veemenza della sua collera, e me ne stavo a capo chino, timoroso che volesse picchiarmi o peggio. Ma quel momento di follia sembrò come evaporare e mi disse: "Perdonami. Non volevo spaventarti. Ma ci sono cose che sono sepolte nel passato e là devono rimanere. Io... C'è stato un tempo in cui prestavo servizio a casa Van Dort e..." poi s'interruppe e scoppiò in un pianto inconsolabile Che cos'era quella pena che leggevo sul suo volto? Che cosa era successo mentre era a servizio dei Van Dort? E quella rosa... mi ricordava molto quelle che tanto piacevano a Mise en Place e Piuma di Corvo....
Forse se fossi riuscito ad impadronirmi del mazzo di chiavi magico di Passpartout avrei potuto trovare risposte. Sì, perchè dovete sapere che portava sempre alla cintura un anello di ferro con tutta una serie di chiavi infilate dentro. Si diceva che quelle chiavi aprissero tutte le porte delle case di Swinton, ma non solo! Pare che, se usate nel modo giusto, portassero verso luoghi lontani, quando non in altri universi o anche nel passato. Fatto sta che Passpartout durante la notte di Halloween si dice sia aggirasse, in maniera concitata, per il paese, aprendo tutte le porte, guardando oltre la soglia ed esclamando "Non è qui!". Certo, era un comportamento insolito, e i paesani non erano felicissimi di questa sua usanza po' malsana, ma era talmente una persona ben voluta che erano disposti a lasciar correre. In fondo era Ognissanti, quando il velo fra il Mondo Fatato e quello degli umani si assottiglia, e ogni stranezza poteva essere tollerata.
[Personaggio ispirato ad Alfred, dal film “Batman” del 1989]
Quella tavoletta nera, cosparsa di lettere e numeri, fu il suo primo regalo di compleanno. Fu fatta sparire quando la notte di Natale disse di aver fatto gli auguri a nonno Maitland in persona, e che quest'ultimo avesse chiesto di poter avere un po' di quell'ottimo porridge servito come dessert al cenone. Ouija crescendo non aveva mai smesso di subire il fascino di qualsiasi attrezzo si dicesse avere il potere di indagare l'aldilà. Quegli strani trabiccoli erano diventati una vera e propria passione, e spesso se ne costruiva con le proprie mani di nuovi e mai visti. Anzi, sembrava avere proprio un fiuto nello scovare in comuni oggetti d'uso quotidiano degli strumenti fantastici per poter intravedere cosa stesse accadendo oltre il velo della vita terrena. Nella sua stanza potevi trovare di tutto: macchine fotografiche, microfoni e registratori, vinili su cui diceva di aver inciso la voce dei defunti. "Senti? Hai sentito cosa hanno detto?" urlava con eccitazione quando li riproduceva per amici e parenti, anche se questi ultimi spesso sentivano solo la puntina del giradischi grattare a vuoto. Ouija girovagava per il paese con i suoi grandi occhi stralunati, stringendo al petto quel quaderno dove meticolosamente catalogava i reperti delle sue metavisioni, e nessuno sapeva mai davvero cosa passasse in quella testa piena di fantasmi e di spiriti. E in tutta sincerità a Ouija non importava che la gente capisse davvero ciò che riusciva a vedere oltre la realtà: stava bene lì, nel suo mondo nebbioso, senza nessuno a disturbare i suoi pensieri. D'altronde le case abbandonate e i tetri cimiteri in cui trascorreva le giornate erano diventati una seconda casa, dove gli ospiti venivano fatti entrare con grande moderazione. C'era solo una cosa che turbava il suo animo finemente parascientifico. Nel corso delle proprie perlustrazioni, appostandosi per scovare le mosse di tutti quei fantasmi, non aveva mai fallito: tornava sempre con una prova, grande o piccola che fosse, e il cuore pieno di orgoglio che vibrava per l'emozione. Soltanto il Pozzo non aveva mai svelato i suoi misteri: non c'erano foto, riprese o tracce audio che svelassero cosa accadesse in quel luogo. Questo mistero irrisolto è sempre rimasto una piccola onta sull'operato di Ouija: un'onta da cancellare con determinazione e metodo.
[Personaggio ispirato a Lydia Deetz, dal film “Beetlejuice - Spiritello porcello” del 1988]
- Se sei su un terreno scosceso, pianta la tenda in salita: sarai sicuro che non cadrà a valle.
- Il segreto per non prendere la salmonella durante un’avventura? Mangiare l’uovo con tutto il guscio, ovviamente.
- Se in una foresta trovi un orso che ti sta rugliando contro, sicuramente è perché ha avuto una brutta giornata. Corri ad abbracciarlo!
Dal libro “Guadando il deserto.” di B. Bloom, detto Everest.
Venendo da un’antica stirpe avventuriera per tradizione, posso dirvi che le foto di tutti i miei Avi ritraggono donne e uomini molto interessanti, ma nessuno di loro spiccava per fascino o eleganza. Tutti tranne Everest. Stare al suo cospetto metteva subito tutte e tutti di buonumore, tanta era la beltà che sapeva irradiare. Occhi penetranti, sorriso luminoso e capelli raggianti color dell’avventura, Everest indossava sempre abiti che parevano adatti ad un matrimonio e non certo a tutti i viaggi avventurosi di cui continuamente si vantava. Ma per la sua famiglia, quello che aveva in stile, non aveva in acume... ecco... non era una cima! Per questo, quasi per scherzo, iniziarono a chiamarlo come la cima più alta del mondo.
Sia chiaro: Everest era ben cosciente della sproporzione tra la sua bellezza e la sua intelligenza, ma faceva spesso buon viso a cattivo gioco. I sorrisi della sua famiglia sapevano essere spilli nel suo cuore, e in quelle occasioni aggiungeva enfasi nella sua voce prima di esagerare i racconti delle sue avventure, sperando così di far crescere la stima dei suoi amati Bloom.
C'è però un momento della storia di Everest che dopo tanti anni non mi è ancora chiaro. Tra i suoi tesori di viaggio ho trovato una bussola, con dentro un bigliettino che porta queste parole: "La storia vera è migliore di quella che racconti. Fatti coraggio!". Che abbia giocato la carta del tutto per tutto e non abbia mai detto la verità sui suoi viaggi a tutta Swinton? E perché quel bigliettino era scritto con del... mascara?
[Personaggio ispirato a Victor, dal film “La sposa cadavere” del 2005]
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. Ecco, niente di tutto ciò apparteneva al Pietranviso: mai una risata, mai un pianto, mai un sospiro, mai un grido di terrore o di felicità. Quel suo sguardo gelido faceva rabbrividire tutta Swinton: “Non si capisce mai a cosa stia pensando.” “Il Sindaco dovrebbe prendere provvedimenti: o esilio o galera!” sussurravano nei vicoli dopo il suo passaggio. E io posso dire di comprenderli bene. Mi viene, infatti, la pelle d’oca ogni volta che penso al suo ritratto appeso sopra il camino di casa sua: quegli occhi vuoti sembrava mi fissassero ovunque mi muovessi. Si mormora che ci fu un tempo in cui non fosse così, che fosse come tutti gli altri Pirelli. Poi un giorno i ringhi e i guaiti dei lupi, a mezzogiorno, attirarono le attenzioni degli abitanti di Swinton nei pressi del cimitero, e là videro una cosa raccapricciante: bare dissepolte, probabilmente anche trafugate, e lupi intenti a contendersi qualche pezzo di cadavere in decomposizione. Durante il tentativo di scacciarli e riportare l’ordine in quel marasma, trovarono Pietranviso tremante e con lo sguardo perso nel vuoto, proprio dentro una bara. Da quel momento qualcosa nel suo animo cambiò. Cosa sarà mai successo perché perdesse lo spirito dei Pirelli?
A chi in seguito provava a domandarlo rispondeva sempre che era inutile rivangare il passato e, noncurante delle attenzioni di tutti i suoi compaesani, prese a vivere a modo suo, vestendo i panni della cattiva e fredda persona. Sosteneva che l’impegno di mandare avanti la baracca fosse più importante di qualsiasi altra cosa, e ciò impediva che nella sua vita entrassero smancerie, carinerie o altre cose sdolcinate. Questa sua durezza d’animo piacque soprattutto a Big Mama, che iniziò a delegare a Pietranviso i compiti più ingrati: così divenne il braccio della più grande mente di Swinton. Tutto ciò fece sì che i Pirelli cominciassero a nutrire nei suoi confronti un profondo rispetto. Il suo sogno sicuramente era quello di prendere il titolo di Big Mama, ma non so se lo abbia mai realizzato. Certo è che quella sua espressione glaciale, che avrebbe fatto gelare il sangue nelle vene a chiunque, era un buon punto di partenza.
Ma le emozioni fanno parte della natura umana e, prima o poi, ritornano a galla. Accadde che il postino, un giorno di tanto tempo fa, consegnò una busta a Pietranviso: quando l’aprì, giurava il postino, l'inespressività del suo volto si incrinò. Questa sua insolita smorfia lo fece trasalire dalla paura, tanto da farlo scappare a gambe levate. Ancora oggi la gente del paese si chiede cosa quella busta contenesse.
[Personaggio ispirato a Barnabas Collins, dal film “Dark Shadows” del 2012]
Se c’era una cosa su cui tutti a Swinton concordavano era la natura eccentrica di Dente di Corvo.
Spesso parlava con gli alberi sostenendo che questi fossero portatori di grande saggezza e che quindi nessuno doveva mai permettere che fossero tristi; oppure riteneva che una pietra fosse magica e nessuno dovesse spostarla. Sembrava guardare le cose attraverso un filtro tutto suo, ma talmente potente da indurre Dente di Corvo a difendere a spada tratta ogni sua convinzione. Di quello che dicevano gli altri poco si curava, rimanendo sempre fedele al suo motto: “Non si vive per accontentare gli altri, l’importante è essere sereni con se stessi”. Perseguiva a tal punto la felicità che, quando si rendeva conto delle prese per il naso dei più crudeli, faceva di quella presa in giro una fantastica storia e la legava a qualche inutile carabattola che trovava in tasca.
La prima volta che incontrai Dente di Corvo ero già adolescente. Ricordo che aveva lo sguardo fisso verso il cielo, e con voce sognante, mi disse: “Ciao tesoro, sai dirmi il tuo segno zodiacale e il tuo ascendente? Bastano queste piccole informazioni per conoscere a fondo una persona”. Fece poi tre giri intorno a me e infine mi pose dolcemente nelle mani delle piccole pietre con delle strane incisioni sopra: “Portale sempre con te, ti proteggeranno da tutti i malanni. Sono delle pietre runiche… Aspetta, però: forse sono quattro i giri che dovevo fare!” E, senza attendere risposta, se ne andò rimuginando tra sé e sé qualcosa che non riuscii ad udire.
Invece sentii distintamente dietro di me gli sghignazzi di alcuni Pirelli: “Ah! oggi sono le rune cura-malanni; domani Dente di Corvo quale pratica e cianfrusaglia proverà?”. Tutto ciò mi fece provare un'enorme compassione, talmente tanta da farmi sorgere il desiderio di saperne di più sul suo passato. Così scoprii l’origine del suo strambo nomignolo.
Un giorno si presentò a Swinton un omino che aveva degli strani oggetti in vendita: maschere della verità, pesci portafortuna, una mappa stellare cambia-umore, un Golem dei desideri, e in tutto questo ben di Dio si racconta che Dente di Corvo pose la sua attenzione su dei bottoni color verderosa. “Questi bottoni sono ricavati dai Denti di un Corvo gigante del Madagascar, incantati dagli sciamani locali per portare ricchezze a chi li indossa giorno e notte”. Si fece così abbindolare dalle parole del mercante da investire tutti i suoi risparmi in quell’acquisto. Si racconta che con somma felicità li mostrò a tutta Swinton, raccontando dei loro poteri. In realtà non accadde niente di ciò che il mercante aveva promesso finché Mezza Giustizia non aprì i suoi occhi. Analizzando la mercanzia si accorse che erano semplicemente dei sassi levigati e colorati. Da quel giorno tutti si dimenticarono il suo nome e per Swinton diventò Dente Di Corvo.
Le risate alle sue spalle da quel giorno si moltiplicarono, smisero solo quando iniziò la moria di animali. Alcuni credono ancora che la piaga sia stata causata dai suoi gingilli. Fu Mezza Giustizia a rendere appunto giustizia al suo nome, facendo crollare ogni accusa a suo carico.
Ogni tanto mi domando se Dente Di corvo abbia mai smesso di essere felice o di credere nella magia. Mi domando anche se l’abbia realmente trovata grazie ai suoi ninnoli.
[Personaggio ispirato alla Regina Bianca, dal film “Alice in Wonderland” del 2010]
Tutti a Swinton ricordano quel giorno. Le luci di scena, l'emozione palpabile dietro le quinte. Era lì, nel ruolo principale, e tutti avrebbero finalmente potuto riconoscere il suo talento. Tutti gli anni di fatiche, passati dando contro ad amici e parenti che mal sopportavano la sua vocazione artistica, sarebbero scomparsi e il successo avrebbe ripagato ogni lacrima. Eppure, al momento di pronunciare il monologo principale di quel dramma tanto noto, sentì la voce morire in gola e non spiccicò una parola: aveva dimenticato la parte. Tutta la platea iniziò a ridere, e quelle risate, quella sera, portarono via la speranza di una brillante carriera artistica. Da quel giorno si guadagnò il soprannome di "Ribalta", beffardo ricordo di non aver mai calcato le scene tanto amate. Riuscì comunque a ricavarsi qualche ruolo di rimpiazzo: amara consolazione, visto che la gran parte degli artisti raramente si ammalava la sera della prima. Sembrava che qualcuno avesse lanciato una maledizione: ricordava perfettamente ogni parola, ogni emozione custodita fra le righe dei copioni, ma al momento di pronunciarle, beh... si annebbiava tutto. Soltanto per loro riusciva a recitare: per i suoi adorati gatti. Davanti a baffi e code il coraggio mai veniva meno. Ve n'erano a dozzine che bazzicavano il suo cortile, e più di una sera qualcuno giura di averli visti riuniti tutti attorno a Ribalta, che declamava loro poemi e rime con foga e passione, talvolta prendendoli teneramente fra le braccia, talvolta fingendo di duellare aspramente con loro. Stava più in compagnia dei gatti che dei suoi concittadini, tanto che i suoi sguardi obliqui e il suo passo furtivo facevano pensare a un felino più che a un umano. Eppure, i suoi occhi conservavano quella malinconia che solo i veri artisti conoscono. E dietro alle palpebre, ogni notte, andava in scena la magia di quel sogno mai spento: un sipario che si apre, il silenzio, le luci che si accendono e finalmente il suo ingresso, come protagonista del suo sogno.
[Personaggio ispirato a Cat Woman, dal film “Batman” del 1989]
Si dice che ognuno di noi abbia un’unica anima gemella. Alcuni la incontrano per caso, in molti la cercano per tutta la vita, altri la trovano e poi per qualche scherzo bizzarro del destino la perdono.
Poi c’è chi ha vissuto tutte e tre le cose, e questo è il caso di Musolungo.
Nonostante appartenesse ai “sempre allegri” Gomes, Musolungo dei Gomes non aveva proprio niente: assomigliava molto, a dire il vero, ad un Maitland, tant’è che le diatribe tra le due famiglie si riaccesero proprio grazie al mio Avo. Era sua consuetudine infatti fuggire dalla sua casa natia per rifugiarsi in casa Maitland, dove poteva dare sfogo alle sue frustrazioni.
Contro la sua sventura aveva provato ogni cosa: sedute da Mangiaocchi, pozioni di Malocchio... ma niente sembrava potesse cambiare il suo umore nero. Eppure alcuni giurano che ci fosse stato un tempo in cui Musolungo aveva sorrisi da orecchio a orecchio ed occhi sognanti. In Paese tutti erano convinti che questo suo cambiamento fosse legato al fatto che avesse trovato l’amore.
La faccenda durò ben poco però, e presto il sorriso scomparve, i suoi occhi si spensero, e sul suo polso comparve uno scintillante braccialetto. Ogni volta che il suo cuore si fermava sopraffatto dalla nostalgia, vuoi per un motivo vuoi per l’altro, sembrava che il solo sfiorarlo riaccendesse la sua luce.
Eran solo chiacchere di paese, ovviamente: non ho mai creduto a tali cose, anche se la storia che tutti raccontavano sul suo conto mi fece riflettere, pur essendo molto piccolo all'epoca.
Si dice che avesse trovato l’anima gemella, fortuna sua! Alcuni giurano di aver visto il suo nome accanto a quello di un Van Dort affisso nelle bacheche delle pubblicazioni matrimoniali in comune (cosa smentita da entrambe le famiglie). Che fosse vero o no, io sono convinto che fu l’amore a donare serenità a Musolungo, e che con quello aveva assaporato il gusto - forse per la prima volta - di una nuova vita tutta sua e non più legata al sangue o alla discendenza. Nessuno sa cosa sia successo poi. Nessuno sa perché la fortuna di Musolungo sia finita, perché abbia dovuto ingoiare il piatto più amaro che un essere umano possa assaggiare. A tutti però fu chiaro che questo amore era andato perduto. E da quel giorno niente più fu come a prima.
Sono convinto che abbia continuato a cercarlo, e mi piace pensare che oggi, in un altro mondo, lo abbia ritrovato.
E che con il suo amore abbia finalmente trovato la pace.
[Personaggio ispirato a Victoria, dal film “La sposa cadavere” del 2005]
"Oh fiammella che ardi luminosa,
sii un faro in questa notte tenebrosa.
Abra Kadabra cammina tra la gente mentre riposa.
Tremate bambini cattivi e nonni insolenti,
Abra porta la morte e i suoi versi dolenti.
per punire tutti gli uomini che sono violenti.
Se dei caduti il sentiero volete illuminare
o la notte dei vivi desiderate rischiarare
Abra Kadabra per tre volte dovete chiamare.
Se da tempo duole il corpo infermo del tuo consorte
e sapienti, medici e dottori ti hanno chiuso le porte,
Abra Kadabra gli saprà donare una dolce e calma morte.
Abra si serra nella stanza affianco al letto del morituro
e in solitudine ascolta le ultime parole del suo animo impuro.
Infine gli chiude gli occhi e con cura lo unisce al sonno imperituro”.
Questa è la macabra filastrocca che a Swinton si canticchiava per deridere il mio Avo.
Google dice che Abra Kadabra in arabo significa “Fa’ che le cose siano distrutte”. Ecco perché questo soprannome! Si dice che come mestiere Abra facesse compagnia a malati e infermi, soprattutto durante i loro ultimi istanti di vita.
Ne ho sentite tante sulla questione. “Abra indossava abiti nuziali perché si sposò con la morte” “Quando Abra passava, la gente buttava il sale per terra affinché la jella non seguisse il suo cammino”.
“Nessuno farebbe il lavoro di Abra, anche perché si dice che fu un castigo per un suo crimine orribile… ma nessuno osa parlarne”.
Tuttavia avrei voluto conoscere bene il mio Avo, perché per stare vicino alle persone morenti bisogna avere un’anima generosa e buona.
Chissà quante storie avrebbe potuto raccontarmi! Abra conservava tutti i segreti che in punto di morte sono stati confessati. E sono dell’idea che tale conoscenza abbia plasmato nel suo animo una invidiabile saggezza.
Ho deciso di aggiungere una strofa a quella filastrocca, sperando che tu, mio caro Avo, possa venire a trovarmi nei miei sogni, ma per parlarmi… non per portarmi via.
“Tu che nelle terre dell’estate gli spirati accompagni,
vieni nella notte d’autunno a ispirare i miei sogni.
Quando a Swinton tornerò con i miei compagni!
ABRA KADABRA. ABRA KADABRA. ABRA KADABRA"
[Personaggio ispirato a Emily, dal film “La sposa cadavere” del 2005]
Di Bussola, certamente, non si poteva dire che non avesse buon cuore. Si narra che, in origine, il suo ramo della famiglia fosse molto povero (dodici nonni e tredici pronipoti), ma che con la sua risolutezza e la sua testardaggine volle che ognuno di loro potesse risplendere di felicità. E così, un giorno, disegnò la Mappa che fece la loro fortuna.
Si trattò indubbiamente della Prima Mappa Nota di Swinton e del suo Magico Circondario, o perlomeno l’unica di cui vi siano testimonianze orali dirette: intessuta sull’abito di una fata e intinta sulle prime ventuno gocce di rugiada del Solstizio d’Estate, essa era in grado di indicare a chiunque la leggesse la strada per l’Impresa della propria vita. Si dice che, seguendo i tracciati per i luoghi che vi erano disegnati, tutta la famiglia di Bussola riuscì ad intercettare il Grand Tour della Via Lattea e che, saliti a bordo grazie a venticinque biglietti d’oro, fecero l’invidia nientemeno che degli Zar di Russia, ottenendo infine dei posti d’onore sull’Orient Express.
Fatta la loro fortuna, si dimenticarono chi era la mente che l'aveva favorita. Eppure, Bussola non perse il sorriso: a differenza di tutti gli altri, continuò a preoccuparsi dei propri cari, anche se loro si limitavano a qualche sporadica, luccicante cartolina. Trascorreva le lunghe giornate d’estate con la mente altrove e il cuore aperto, ad ascoltare le storie delle Grandi Avventure del Capofamiglia Bloom con sguardo rapito.
Dopo tutti quei racconti, Bussola arrivò a considerare la sua Mappa un eterno incompiuto: da quanto mi hanno raccontato, si aggirava per il paese con la testa sempre china su quel pezzo di carta, cercando di capire dove fosse l’entrata per la sua personale Grande Impresa e aggiungendo, all’occorrenza, nuovi luoghi che ne potessero indicare la strada.
Non trovandola, si convinse che per esserne degno avrebbe prima dovuto portare a compimento tutte le Imprese altrui, tranne la sua. Quindi aiutò due Gemelle Siamesi a trasformarsi in Gatte Siamesi, impedì agli Alberi di Cioccolato di sciogliersi per il caldo eccessivo e indicò alle Lucciole Raminghe la strada per il Giardino delle Fate.
E che dire del suo amore Maitland? Bussola continuava a pensarci, fondamentalmente perché non esisteva - o forse esisteva solo nella sua testa. Nessun compaesano aveva mai visto Bussola in dolce compagnia di un membro di quella famiglia, sebbene continuasse ad affermare che, nel suo cuore, un misterioso amore Maitand c’era eccome.
Ma che ne dicano le malelingue dei Pirelli, non parche di targare la faccenda come un comune caso di amore non corrisposto, io sono estremamente convinto che Bussola avesse bene a mente tanto quanto tempo mancasse alla sua Gloriosa Avventura, ancora da compiersi, tanto il nome della persona che avrebbe baciato alla sua partenza e al suo ritorno.
Sì, perché la Prima Mappa Nota di Swinton e del suo Magico Circondario indicava proprio quel paese come punto di partenza per l’Avventura delle Avventure, che avrebbe attraversato tutti i luoghi in essa indicati fino a raggiungere il Ponte dell’Arcobaleno, ove si diceva si nascondesse il segreto della Vita stessa.
E tu mi chiederai come facesse a saperlo: questo non so dirtelo, di preciso.
Ma un giorno, quando il vento soffiava più forte del solito, sentii un bisbiglio dietro alla nuca. Diceva di essere una donna, e di chiamarsi Vita.
[Personaggio ispirato a Charlie Bucket, dal film “La fabbrica di cioccolato” del 2005]
Il mio bisnonno era solito ripetere al mio Avo: "Questo, d’ora in avanti, sarà il tuo compito: devi essere il Faro della Famiglia. Toccherà a te fare in modo che le persone si radunino intorno a noi Pirelli. Devi brillare, in tutti i sensi!". Così aveva preso quegli ordini alla lettera, luccicando dalla testa ai piedi, in maniera che arrivasse prima la sua luce delle sue urla. Diciamo che il nomignolo di Luccicanza nel suo caso cadeva proprio a fagiolo!
Tutto ciò che mi rimane oggi di Luccicanza è il suo prezioso e famoso Megafono, strumento indispensabile per annunciare l'apertura della bancarella Pirelli e invitare le persone a tuffarsi negli acquisti. Leggenda vuole che quel megafono appartenesse in origine a Registro e che un bel giorno glielo regalò. Adesso non starò qua a raccontare questa storia che è trita e ritrita. Posso solo dire a riguardo che quel giorno Luccicanza era più lucente che mai, una luce che mai nessuno aveva visto prima.
Quello che voglio invece dire è come Luccicanza brillasse solo esteriormente, come fosse una facciata la sua, proprio come un cartellone colorato della pubblicità! Io so che quando calava la sera amava stare in disparte, e che preferiva di gran lunga arricchire il suo vestiario di una nuova pietruzza o di un nuovo gioiello, piuttosto che seguire i discorsi di persone che si avvicinavano solo per chiedere favori, favori che stentava a concedere senza ricevere nulla in cambio. "La diffidenza prima di tutto" sembrava essere il suo motto, ma puoi star certo che se ti offriva una birra era perché, in un modo o nell'altro, ti aveva preso in simpatia.
Mi sono sempre chiesto come mai preferisse la solitudine alla caciara dei Pirelli, tanto che ho una mia particolare congettura a riguardo: penso che nascondesse un segreto talmente grande da averne quasi vergogna, e ciò spiegherebbe il perché delle sue sere solitarie.
[Personaggio ispirato ad Amos Calloway, dal film “Big Fish - Le storie di una vita incredibile” del 2003]
Quando penso al mio Avo mi viene in mente il primo e unico ricordo di me a sei anni a Swinton. Dovevamo essere in visita a casa Davis. Aleggiava nell’aria un profumo di incenso e di tempere. Matite, carboncini e pennelli spuntavano da ogni dove nella stanza: da una tazza laggiù, da un vaso di là, da un barattolo vicino alla finestra. C’era poi un cavalletto che reggeva un foglio. Era enorme, ma forse così mi pareva per via della mia piccola statura. Un disegno in bianco e nero ritraeva una bambola di pezza, aggraziata nelle fattezze, vestita da sposa.
“Ti piace? L’ha disegnata Pseudo. Il tuo Avo! Il suo talento è riconosciuto in tutta Swinton. E oltre confine.”
Ricordo questa frase, ma non chi la pronunciò. Ed è un vero peccato perché vorrei ringraziare colui o colei che seppe farmi scoprire cosa fosse l’orgoglio! Il mio petto si gonfiò e una vampata di calore invase il mio volto.
Compresi che discendevo da sangue colmo di talento. E questo in qualche modo mi segnò.
Quel che conosco oggi del mio Avo è un collage di tracce, di indizi e di memorie che nel tempo ho collezionato qua e là, ma lontano da Swinton, perché lì non tornai più.
Scriveva e disegnava. Sulle opere finite si firmava Pseudo. Lo stesso nomignolo con cui lo appellavano i suoi concittadini. E di questo soffriva, perché quel soprannome era come non averlo. Ma andiamo in ordine.
I suoi racconti e le sue illustrazioni inebriavano tutti perché sapevano narrare storie sognanti, magiche e affascinanti.
Pare che l’ispirazione la trovasse negli occhi delle persone che incontrava. Fissava le scarpe di chi attirava la sua curiosità, e poi passava agli specchi dell’anima. E lì stava con lo sguardo incollato, senza curarsi se la sua insistenza causava disagio. Arrivata la folgorazione, abbracciava la sua momentanea musa e tornava a casa con quel bottino invisibile che solo chi possiede l’arte sa stimare. Si metteva a dormire e attraverso i sogni impastava tutti gli ingredienti raccolti in giornata. Al risveglio si catapultava tra i suoi strumenti. Che fosse una penna, un carboncino o un pennello si metteva all’opera riconsegnando al mondo ciò che aveva rubato il dì precedente.
E in giro per il mondo in effetti spediva le sue opere. Erano richieste da molti editori, e grazie a ciò viveva agiatamente. Tuttavia non c’era mai piena soddisfazione, perché in cuor suo sapeva che il suo successo dipendeva dagli altri. Inoltre, le sue pubblicazioni avvennero sotto moltissimi nomi differenti, perché Pseudo non convinceva mai nessuno.
“La mia fama esiste perché racconto le storie di altri sotto altrettanti altri nomi. Dove sono io? Chi sono io?”
Questa è la frase scritta sul retro di un vecchio libro che mia madre conserva gelosamente come uno dei pochi cimeli presi a Swinton.
Apparteneva sicuramente a Pseudo.
Qualcuno mi raccontò che Ottobre era il mese più complicato dell’anno perché piovevano in casa Davis continue richieste di stampatori di diverse città che reclamavano nuove tavole e nuovi racconti del mio Avo. E Pseudo andava in crisi perché la fretta non era mai buona consigliera.
Doveva scegliere con cura cosa inviare, a chi e sotto quale nome, perché Pseudo voleva una svolta decisiva, anche a costo di andare via da Swinton.
Se ce l’abbia fatta, davvero non ne ho la più pallida idea. Quando sarò a Swinton spero di scoprirne di più.
[Ispirato a Tim Burton]
Nonostante facciamo parte di due famiglie completamente diverse, a Swinton dicevano che i nostri Avi fossero gemelli. Pare siano nati nello stesso giorno e nella stessa ora da due madri diverse, e tuttavia si rivelarono completamente identici nell'aspetto. Da bambini si divertivano vestendosi uguali per mandare in confusione tutti.
Pensa quante stranezze aveva quel posto! A ripensarci adesso molte sembrano burle, eppure in tenera età ci credevo. Quando si andava a trovare il mio Avo nel suo paesino mi raccontava le storie sulla sua gemellanza, e la mia infantile logica dell'epoca le validava come vere perché erano colme di meraviglia. Anche i dettagli mi stupivano, come quella volta in cui mi parlò del nomignolo che ogni abitante di Swinton aveva:
"E' così che qui ci chiamiamo l'un l'altro. Ad esempio, Parimpampù è il soprannome del mio doppio. Pirimpimpò è il mio. Siamo simili anche in questo! Furono le nostre madri a scegliere questi nostri appellativi, prendendo ispirazione da un'antica filastrocca. Essa parlava di due fratelli, Ripù e Ripò, identici non solo nell'aspetto ma anche nell'animo: entrambi, quando crebbero, presero a divertirsi facendosi beffe degli altri con battute e scherzi a volte molto pesanti. Nel tempo si fecero molti nemici per via della loro strafottente condotta, e quelli decisero di vendicarsi. Con l'inganno li catturarono e li sculacciarono così tanto che nell'aria si potevano udire suoni sordi e potenti: Pam Pam! Pim Pim! Ed è così che impararono a vivere in mezzo agli altri con cortesia e gentilezza, e da quel giorno furono colmi di amici.
Quelle sonore sberle salvarono Ripù e Ripò dalle solitudini mortali.
Pam Pam! Pim Pim! E subito tornarono ad essere simpatici e vitali.
Ah, ricordo ancora l'ultima rima! Ma, tornando a noi, per capire bene devi anche sapere che secondo le cronache io e Parimpampù venimmo al mondo morti! Non respiravamo. Forse eravamo convinti di essere pesci! Ahahah! Ad ogni modo, le balie presero a schiaffeggiare forte le nostre chiappotte. Pam Pam! Pim Pim! Quei suoni così tipici, con grande stupore di tutti i presenti, fecero ridere le nostre madri stremate per la fatica del parto e per la preoccupazione. Subito dopo iniziammo a vagire.
Ed è così che, mischiando i nomi e i suoni della filastrocca, le mamme tirarono fuori Parimpampù e Pirimpimpò, perché fu subito chiaro che di scherzi e di sculacciate sarebbe stata colma la nostra vita. E così fu!"
Era così bello ascoltare il mio Avo e ammirare il suo viso rugoso e simpatico!
In età più adulta, quando ormai Swinton era solo un ricordo, venni a scoprire un'altra versione: pare che una sola madre partorì due gemelli perfettamente identici, tranne un solo dettaglio. Un bebè aveva una voglia sulla mano destra, mentre l'altro su quella sinistra. La macchia aveva una forma diabolica! La faccenda spaventò così tanto tutta Swinton che per gestire il fatto ci si appellò ai Collins e al loro oracolo fatto di vento. Fu una fredda folata a decretare la separazione dei i nostri Avi in due famiglie diverse. E così crebbero seguendo differenti educazioni e per tale motivo svilupparono due animi completamente opposti.
Bah! Onestamente anche questo racconto pare una burla, come ogni cosa che si dica su quel paesino.
A pensarci bene il mio Avo indossava soltanto un guanto. Quello destro! E non se l'è mai tolto.
Chissà…
[Personaggio ispirato a Pinco Panco e a Panco Pinco, dal film “Alice in Wonderland” del 2010
I due personaggi Parimpampù e Pirimpimpò sono gemelli e avranno meccaniche specifiche per il loro gioco]
Nonostante facciamo parte di due famiglie completamente diverse, a Swinton dicevano che i nostri Avi fossero gemelli. Pare siano nati nello stesso giorno e nella stessa ora da due madri diverse, e tuttavia si rivelarono completamente identici nell'aspetto. Da bambini si divertivano vestendosi uguali per mandare in confusione tutti.
Pensa quante stranezze aveva quel posto! A ripensarci adesso molte sembrano burle, eppure in tenera età ci credevo. Quando si andava a trovare il mio Avo nel suo paesino mi raccontava le storie sulla sua gemellanza, e la mia infantile logica dell'epoca le validava come vere perché erano colme di meraviglia. Anche i dettagli mi stupivano, come quella volta in cui mi parlò del nomignolo che ogni abitante di Swinton aveva:
"E' così che qui ci chiamiamo l'un l'altro. Ad esempio, Pirimpimpò è il soprannome del mio doppio. Parimpampù è il mio. Siamo simili anche in questo! Furono le nostre madri a scegliere questi nostri appellativi, prendendo ispirazione da un'antica filastrocca. Essa parlava di due fratelli, Ripù e Ripò, identici non solo nell'aspetto ma anche nell'animo: entrambi, quando crebbero, presero a divertirsi facendosi beffe degli altri con battute e scherzi a volte molto pesanti. Nel tempo si fecero molti nemici per via della loro strafottente condotta, e quelli decisero di vendicarsi. Con l'inganno li catturarono e li sculacciarono così tanto che nell'aria si potevano udire suoni sordi e potenti: Pam Pam! Pim Pim! Ed è così che impararono a vivere in mezzo agli altri con cortesia e gentilezza, e da quel giorno furono colmi di amici.
Quelle sonore sberle salvarono Ripù e Ripò dalle solitudini mortali.
Pam Pam! Pim Pim! E subito tornarono ad essere simpatici e vitali.
Ah, ricordo ancora l'ultima rima! Ma, tornando a noi, per capire bene devi anche sapere che secondo le cronache io e Pirimpimpò venimmo al mondo morti! Non respiravamo. Forse eravamo convinti di essere pesci! Ahahah! Ad ogni modo, le balie presero a schiaffeggiare forte le nostre chiappotte. Pam Pam! Pim Pim! Quei suoni così tipici, con grande stupore di tutti i presenti, fecero ridere le nostre madri stremate per la fatica del parto e per la preoccupazione. Subito dopo iniziammo a vagire.
Ed è così che, mischiando i nomi e i suoni della filastrocca, le mamme tirarono fuori Parimpampù e Pirimpimpò, perché fu subito chiaro che di scherzi e di sculacciate sarebbe stata colma la nostra vita. E così fu!"
Era così bello ascoltare il mio Avo e ammirare il suo viso rugoso e simpatico!
In età più adulta, quando ormai Swinton era solo un ricordo, venni a scoprire un'altra versione: pare che una sola madre partorì due gemelli perfettamente identici, tranne un solo dettaglio. Un bebè aveva una voglia sulla mano destra, mentre l'altro su quella sinistra. La macchia aveva una forma diabolica! La faccenda spaventò così tanto tutta Swinton che per gestire il fatto ci si appellò ai Collins e al loro oracolo fatto di vento. Fu una fredda folata a decretare la separazione dei i nostri Avi in due famiglie diverse. E così crebbero seguendo differenti educazioni e per tale motivo svilupparono due animi completamente opposti.
Bah! Onestamente anche questo racconto pare una burla, come ogni cosa che si dica su quel paesino.
A pensarci bene il mio Avo indossava soltanto un guanto. Quello sinistro! E non se l'è mai tolto.
Chissà…
[Personaggio ispirato a Pinco Panco e a Panco Pinco, dal film “Alice in Wonderland” del 2010
I due personaggi Parimpampù e Pirimpimpò sono gemelli e avranno meccaniche specifiche per il loro gioco]